Educare all'ascolto

14.12.2016

Nel precedente articolo abbiamo osservato il comportamento del sistema uditivo nel suo insieme, soffermandoci sull'aspetto cognitivo più che fenomenologico del sentire. Abbiamo visto che la storia personale, la sensibilità individuale e le caratteristiche fisiologiche del proprio sistema uditivo influenzano il modo in cui recepiamo e assimiliamo i suoni e in relazione all'ascolto musicale. L'esperienza e la formazione pregressa hanno poi un ruolo non trascurabile. L'orecchio è un organo capace di percepire nettamente dei suoni sin dalle prime ore di vita, tuttavia non è in grado di dare a loro dei nomi o un'identità perché mancano ancora l'apprendimento e la memoria uditiva. L'audizione musicale è un atto consapevole – a differenza del sentire, che è spontaneo – e a certi livelli richiede conoscenza, educazione.

Audiofilo, sul dizionario italiano, è colui che ama ascoltare musica attraverso un impianto stereofonico di buona qualità e che pone particolare cura nella selezione dei brani che ascolta, in funzione della bontà di registrazione e della resa nell'impianto.

Musicofilo invece è cultore della musica, dal vivo e riprodotta, s’interessa a tutti gli aspetti legati al lato artistico e tecnico delle composizioni, ma in genere non presta troppa attenzione alla fedeltà dell'impianto.

Audiofilo e musicofilo possono anche pacificamente convivere nello stesso individuo, anche se di solito l'uno s’impone all'altro. Quando è il primo a prevalere, la passione e l'esperienza musicale dell'altro sono messe al servizio dell'impianto e usate per fornirgli un parco musicale selezionato ad hoc. Se a dominare è il secondo, l'impianto diventa strumento di lettura: necessario, attendibile, anche severo quando serve: ma esecutore, mai protagonista.

All'ombra di queste due figure primarie ne potremmo scorgere anche una terza: il tecno-audiofilo, che utilizza la musica essenzialmente come mezzo per veder funzionare le proprie elettroniche. Generalmente possiede una musicoteca composta da incisioni di buona qualità che usa come test. Non di rado è anche un autocostruttore ed è costante frequentatore dei forum.

La mia visione generale mi accosta più al musicofilo, perché amo la musica e l'idea che la sua carica emotiva e terapeutica possa esprimersi appieno pure uscendo da una coppia di altoparlanti. Su queste basi ho sempre voluto centrare la mia ricerca, vedendo la riproduzione musicale come un evento da rispettare. Mi capita spesso di sentire impianti dall'indole smodatamente esibizionista, che imprimono al suono il proprio carattere, talvolta con tratti così forti da trasfigurarlo. Quando qualcuno mi chiede come suonano le elettroniche che disegno, rispondo che sono estremamente rispettose – non neutre – perché molte volte si associa al carattere di neutro un suono asciutto, algido, magro, qualcosa privo di calore e morbidezza. Ma non c'entra niente. Macchine che suonano in questo modo non sono neutre, sono semplicemente come sono.

 

Recentemente un amico mi ha chiesto di realizzare per lui un diffusore ad alta efficienza, scandendo con chiarezza le prestazioni che desidera e che non ha finora trovato nelle casse possedute. Almeno non tutte insieme. In estrema sintesi lui vorrebbe una cassa che vada bene per tutti i generi musicali e che possa suonare a tutti i livelli di ascolto, dal pianissimo al fortissimo, senza mai affaticare e senza perdere di corpo e dettaglio. E che sia economica.

Più o meno quello che tutti cercano… ma che forse quasi nessuno ottiene.

Il motivo per cui questa richiesta non è esaudibile non sta nell'essere troppo pretenziosa, ma nel fatto che ha scordato un elemento essenziale: il resto dell'impianto. Il diffusore è l'ultimo anello della catena. Non può inventarsi dettagli che non gli arrivano, né può dimenticarsi di suonare qualcosa di ciò che gli viene dato. Può però aggiungere tanto altro: un tappeto di suoni spuri amalgamato a quelli originari, che genera evidenti effetti di mascheramento o di esaltazione assai difficili da prevedere e controllare. Escludendo i diffusori, spesso queste “aggiunte” nascono nell'amplificazione e nella sorgente. La ricerca a ogni costo del suono cosiddetto caldo e la guerra alla fatica di ascolto porta a sistemi dal carattere estremamente prevedibile, inquadrato, monocorde, quando, a mio vedere l'impianto ideale dovrebbe essere un camaleonte: assumere le sembianze dell'incisione che sta riproducendo invece di suonare tutto nella stessa tonalità.

 

Educare all'ascolto

 

Fonte immagine: AZ Quotes

 

Questa breve parentesi è servita per sottolineare la confusione che abita il pianeta dell'alta fedeltà, già a partire dalle definizioni improprie.

Potrebbe essere interessante a questo, punto sorvolare en passant la zona dei luoghi comuni più diffusi, che sono il motivo primario di errori da parte dell'audiofilo, anche navigato e dell'hobbista autocostruttore.

 

Diamo un nome – e un senso – alle cose

I metri di giudizio con cui si valuta un pezzo musicale riprodotto non sono gli stessi con cui lo si valuterebbe se sentito dal vivo o in studio. Anzi, tante volte i termini usati per commentarlo non trovano attinenza e impiego in ambiente musicale. Parliamo di una classica seduta d'ascolto audiofila. Che più che una seduta d'ascolto, la potremmo definire una seduta di analisi: gli elementi del racconto musicale vengono scorporati e valutati singolarmente, si considera la modalità (il come) invece del perché (il cosa) del messaggio. La quantità diviene qualità. Si procede per schemi predefiniti.

 

Una composizione musicale è formata da una sequenza di note ordinate nel tempo e nello spazio a creare un insieme armonioso, volendola valutare tecnicamente parleremo di metrica – il tempo musicale – di andamento dinamico, di tonalità, melodia, contrasto, colore.

Ascoltata dal vivo oppure riprodotta, la modalità di valutazione non dovrebbe cambiare. Eppure nel secondo caso sentiremo parlare di velocità, di articolazione, scena, musicalità, corposità, nero infrastrumentale…

Sembra quasi che si parli di due cose diverse.

Proviamo a vedere almeno alcuni di questi aspetti tecnici più importanti:

 

Capacità di pilotaggio - È nota come capacità di pilotaggio di un amplificatore la presunta tendenza al controllo e alla solidità del suono, in particolare della gamma bassa. A volte è associata anche a quegli ampli con la tendenza a suonare forte, a fare la voce grossa. Sono considerati i partner ideali per le casse ritenute dure da muovere.

Tecnicamente è la predisposizione a fornire con un certo margine di riserva energetica, la potenza di targa: la nota legge di Ohm prescrive, in via teorica, che la potenza debba raddoppiare al dimezzarsi della resistenza di carico – non dell'impedenza, come a volte erroneamente viene indicato – e questo in molti amplificatori di un certo costo viene rispettato. Essa è direttamente proporzionale alla disponibilità di corrente dell'amplificatore e in nessun caso macchine di potenze significativamente diverse possono avere capacità in corrente simili; per essere più chiari, un finale da 50 W avrà sempre minore disponibilità di corrente rispetto a uno da 100. Caso mai potranno avere capacità di sfruttamento energetico diverse e magari il 50 W risultare più prestante del 100, ma in questo caso non sarà per meriti del primo ma per deficit del secondo.

Il controllo e la presenza del basso, la stabilità della scatola scenica e la massa sonora, dipendono da parametri come il coefficiente di smorzamento, il fattore di guadagno e la tipologia circuitale, più che dal pilotaggio. E comunque ognuno di questi aspetti incide sugli altri e quindi è sempre l'equilibrio delle parti a fare una buona elettronica.

 

Coefficiente di smorzamento - È in buona parte legato all'impedenza di uscita dello stadio finale e migliora al diminuire di tale impedenza. Influenza notevolmente il comportamento della gamma bassa e mediobassa, la capacità di pilotaggio e la risposta ai transienti. Un fattore di smorzamento sufficientemente alto come >200 aumenta la stabilità sulle casse dal carico irregolare, mantiene una risposta in frequenza più equilibrata a volumi elevati e consente maggiore riserva dinamica. Ma non è oro tutto ciò che riluce, smorzamenti elevati non di rado si associano a sonorità secche, dure, monocromatiche. Mentre valori bassi portano suono più morbido, bassi all'apparenza più presenti e rotondi ma minor controllo e presenza. La spiegazione è che mentre è abbastanza facile produrre un ampli con fattore di smorzamento elevato, non lo è altrettanto mantenerlo costante. Soprattutto al salire del volume d'ascolto. Per questo gli amplificatori di alta potenza, in particolare quelli del passato, avevano nomea di suonare freddi e aggressivi, privi di calore, buoni solo come trattori. Proprio perché avevano alto smorzamento – obbligatorio a potenze elevate – ma circuiti inadeguati a tenerlo sotto controllo. Non è un caso del resto sia opinione diffusa che gli amplificatori piccoli suonino meglio di quelli più grossi: piccole potenze si associano spesso a bassi valori di smorzamento. Per la stessa ragione molti amplificatori sono piacevoli a volumi moderati ma peggiorano rapidamente a livelli maggiori.

 

Dinamica - Quando si parla di dinamica di una registrazione o di un impianto Hi-Fi, si fa riferimento alla gamma dinamica, che esprime l'escursione tra il minimo e il massimo livello che il segnale può raggiungere. Volendo intendere il suo concetto in modo più completo, questo è un parametro assai importante e articolato ma, purtroppo, raramente preso nella giusta considerazione. La dinamica, quando conservata nella sua integrità, è quella che restituisce alla musica riprodotta tutta la sua completezza cromatica, la carica emotiva e la forza espressiva che ha con sé. Perché la dinamica sia mantenuta è necessario rispettare, oltre alle variazioni di livello, anche i tempi e la progressione con cui tali variazioni avvengono.

Prendendo ad esempio un pezzo suonato al pianoforte, se esso viene eseguito in maniera lenta e con tocco lieve dei tasti, avrà una certa dinamica, un certo timbro e un definito colore. Lo stesso brano suonato con vigore e con un tempo più rapido assumerà dinamica, timbro e colore ben differenti. Anche il pathos sarà diverso, perché la maggior ricchezza armonica e il volume più alto contribuiscono a un coinvolgimento e un'attenzione maggiori.

Detto questo, appare evidente che ogni disco andrebbe ascoltato, quando possibile, a un volume considerato ragionevolmente realistico al contesto, proprio per ricreare le condizioni di presenza originarie.

Contrariamente a quanto si potrebbe forse immaginare, un'elettronica a risposta dinamicamente fedele non è quella che ricrea un impatto maggiore o che riempie di più i diffusori. Anzi, la più fedele è quella che sembra suonare più calma, dove la musica fluisce all'apparenza più lentamente. C'è un continuum tra i piano e i forti senza violente escursioni tra i passaggi, che sono invece proprie della compressione. Questo della dinamica è un argomento di estrema importanza ma troppo ampio per poter essere esaurito in un paragrafo, ne riparleremo dunque nel prossimo articolo con dovizia di particolari.

Giusto per farsi un'idea potrebbe essere utile uno sguardo al noto database online Dynamic Range Database in cui sono catalogate moltissime registrazioni anche audiophile grade, con le relative gamme dinamiche. Se guardiamo alcuni di questi titoli ci accorgiamo che la loro estensione dinamica non supera praticamente mai i 40 dB, quando ci arriva e parlando di compact disc... Col vinile è pure peggio… molte di queste hanno valori addirittura ridicoli. È curioso notare però che una buona audiocassetta al cromo registrata col Dolby C, può disporre di una gamma dinamica di circa 45-48dB, più che sufficiente ad accogliere anche le incisioni più spinte dinamicamente. Non so se mi spiego...

 

Velocità - È un altro di quei punti controversi, che compare molto spesso nelle recensioni e nelle descrizioni di un oggetto Hi-End ma non è minimamente descrittivo di una prestazione specifica, almeno non di quelle che di solito si intende. Nel linguaggio musicale velocità indica il tempo musicale, nella musica elettronica tipo house, techno, dance et similia, è riferita al numero di bpm o battute per minuto. Maggiore è il numero di bpm, più veloce è il pezzo.

In ambito acustico definisce la velocità del suono – quindi di una vibrazione meccanica – all'interno di un elemento qualsiasi, aria compresa. È ben noto come essa sia influenzata da diverse, numerosissime, variabili come tipo di materiale, temperatura, umidità, direzione di propagazione, intensità, carica elettrostatica e ancora altro. Attenzione: tutti questi elementi incidono sulla velocità di trasmissione del suono ma possono agire – e quasi sempre lo fanno – anche sulla sua composizione. Nessun elemento, tranne alcuni fluidi in determinate condizioni, riportano la vibrazione che li attraversa tale e quale. Aggiungono e sottraggono comunque qualcosa.

L’elettrologia, la branca della fisica che studia i fenomeni elettrici, descrive la velocità di flusso elettronico in un conduttore che risulta dipendente dalla intensità di corrente e dalla sua frequenza, oltre ovviamente, che dalle caratteristiche del conduttore.

Parlare di maggior velocità di un'elettronica rispetto a un'altra è astrazione pura, almeno per le frequenze audio e tutti i suoi multipli. Il flusso elettrico, diversamente dal suono, corre a velocità estremamente elevate e qualsiasi presunto rallentamento dentro un circuito o un cavo, mai potrebbe essere avvertito all'ascolto, neppure dal più perfetto e allenato orecchio. Per gli amplificatori e per alcuni componenti elettronici attivi, viene indicato il valore di slew rate, ossia il tempo di risposta del circuito alle variazioni di livello del flusso elettrico. In altri termini descrive la prontezza del circuito a rispondere all'impulso. Lo slew rate si misura in V/mS cioè volt per microsecondo. Valori inutilmente elevati di questo parametro non portano alcun beneficio sonico. Capire il perché è molto semplice: l'impulso elettrico è così tanto più veloce, in relazione a quello meccanico/acustico, che qualsiasi ritardo di risposta di cavi e componenti, rispetto a quella di un microfono o di un altoparlante, appare del tutto trascurabile.

Potremmo estendere il discorso anche ai cavi: qualunque sia la loro geometria, composizione o disposizione non potrà mai, in alcun modo, influenzare la velocità di propagazione o di risposta nella ristretta gamma audio. Non a livello udibile. Limitatamente ai cavi di potenza, sezione e lunghezza potrebbero in minima parte, agire sulla risposta all'impulso al crescere del volume di ascolto, per effetto dumping dovuto all'aumento di corrente. Ma questo solo a potenze alte.

Nella Clip 1, a titolo di esempio, è riportato un segnale campione impulsivo riprodotto da un operazionale NE5532, tra i più diffusi op-amp in tutte le elettroniche Hi-Fi e che ha uno SR di 9 V/mS. Nella Clip 2 è riportato lo stesso segnale riprodotto da un operazionale LH4118, opamp veloce per impieghi in radiofrequenza e che ha SR di 2400 V/mS. I due op-amp sono stati configurati unicamente come buffer a guadagno unitario.

Poi, lo stesso test è stato ripetuto col suono di una batteria. I due tipi di segnale risultano all'ascolto assolutamente identici in termini di velocità ma anche di altezza tonale.

Anche qui la trattazione sarebbe impossibile da esaurire in poche righe e dunque la ritroveremo in un prossimo approfondimento.

 

Clip 1 Traccia audio - Audio track   Clip 2 Traccia audio - Audio track   Clip 3 Traccia audio - Audio track   Clip 4 Traccia audio - Audio track

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