I musicisti siciliani costituiscono un vero e proprio cenobio in quel monastero naturale di bellezza che è la loro terra natale. Sono attualmente tra i migliori musicisti europei e non scantona certo da questo gruppo uno come Alessandro Presti, trombettista classe '88.
Di veri e propri lavori come titolare Presti non ne ha fatti davvero molti se pensiamo che questo Intermezzo è il suo secondo disco e visto che il precedente Halaesa risale al 2016. Ma le collaborazioni discografiche e le numerose esibizioni che vanta questo trombettista sono varie e multiformi, dal coinvolgimento nel quartetto italiano del mitico contrabbassista Eddie Gomez, già con Bill Evans per il decennio '66-'77, fino alla tournée con Lew Tabackin e alle incisioni coi colleghi italiani Bonafede, Cafiso, Gatto, Di Battista e altri ancora.
Presti suona un jazz affascinante e di grande limpidezza, con una timbrica strumentale un po' somigliante a quella di Enrico Rava. Non ha la pretesa di essere un incantatore di anime ma possiede una capacità nel raccontare che, al netto di qualche leggera asprezza, tende a mantenere addolcite le proprie linee melodiche, preservandole in un ordine tranquillo, in quella serenità interiore che viene suggerita dal luogo ideale, l'isola di Pantelleria, a cui questo disco si è ispirato. L'Intermezzo suggerito dal titolo dell'album forse potrebbe alludere alla necessità di un disallineamento da quelli che sono gli abituali impegni quotidiani, per dedicarsi maggiormente ad altri momenti di assorta, intima riflessione necessari al recupero di sé stessi, per far sì che il nostro tempo interiore non si consumi invano, meglio se aiutati da una Natura seducente come quella isolana. Intendiamoci, questo non è un disco folk, nemmeno un ingenuo ammiccamento da cartolina. Si tratta invece di un jazz così come si comanda, che scorre con fluidità in un viaggio attraverso percorsi armonici di spessore, senza soffermarsi troppo su malinconiche penombre ma mantenendo sempre accesa la luce della consapevolezza di ciò che viene via via suonato. Con la tromba e il flicorno di Presti ritroviamo, in questo ultimo album, tre musicisti che erano con lui nel già citato Halaesa, e cioè Daniele Tittarelli al sax alto, Alessandro Lanzoni al piano e alle tastiere, Gabriele Evangelista al contrabbasso mentre alla batteria Enrico Morello sostituisce Francesco Ciniglio.
Col primo brano della scaletta, Grandangolo, si allude alla dilatazione dello sguardo che pare suggerirci un legame tra una panoramica veduta naturale e la contemporanea apertura della coscienza, in un rimando dentro-fuori pieno di respiri atmosferici e mentali. Il sax e il flicorno intrecciano questi due luoghi così come essi stessi si sovrappongono, per un tratto, anche in perfetta sincronia. La ritmica lavora di supporto, Morello si destreggia democraticamente tra piatti e tamburi mentre il battito di Evangelista puntualizza, incuneandosi tra gli spazi disponibili, lo scorrere riflessivo della traccia musicale. Il piano immette, con intelligenza, qualche colore tenue in quello che potrebbe essere un assolo e che però non diventa mai propriamente tale, lasciando l'incombenza sia alla morbidezza di Presti e successivamente al più deciso intervento di Tittarelli, prima che il tutto si riassuma nel lucore del finale.
Sono sempre i due fiati ad incrociarsi all'apertura di Tuning Song, con il contrabbasso che scandisce il tempo un passo dopo l'altro. Poche note al piano, inizialmente rarefatte e il flicorno che s'allunga in un intervento quasi nebbioso, sfocando la visione complessiva come un vapore che si dissolva nell'aria. Note prolungate, quelle di Presti, tra Rava e Harrell, fino a quando interviene Lanzoni al piano, assolutamente efficace a sgocciolare pochi accordi e annotazioni. I suoi passaggi rarefatti, le sue estensioni armoniche dimostrano la grandezza di questo pianista, la capacità di esprimere musica ai massimi livelli contando sull'essenzialità dei suoni.
Quando arriva Giallo e la sua breve introduzione le cose cambiano. La batteria frammenta i ritmi in un tritacarne continuo, dove il piano inventa un giro ostinato, mentre i fiati impostano un tema ben sviluppato, spesso suonato all'unisono dalla tromba squillante – qui non c'è il flicorno – di Presti e dal sax. Una parentesi un po' free, forse inaspettata in questo contesto, però condotta con elastica tensione, senza moduli leziosi. Un espressionismo misurato che provvede a scuotere gli animi qualora si fossero troppo adagiati su loro stessi...
Piana della Ghirlanda è uno tra i brani migliori dell'intero album. Introdotto dagli accordi silenti – l'ossimoro è d'obbligo – di Lanzoni, la musica assume un'impronta cameristica molto moderna, allontanandosi dagli stilemi del jazz propriamente detti, con un contrabbasso ben archettato con tanto di occasionale vibrato e Presti col suo suono felpato a risalire i continui cambi tonali e le pause interposte. L'intervento della batteria sembra voglia trasformare il brano in una ballad ma agli inizi, tutto questo, non è così evidente perché i ritmi si allentano, s'allungano, tornano ad accorciarsi, rimarcando l'impressione di una certa instabilità. Sarà solo dalla metà in poi, quando torna il basso pizzicato in assolo, sorretto dal piano e con una ritmica più regolare, che allora l'impressione della ballata si delineerà maggiormente. Il finale è optato dai fiati che s'allungano e si spengono in un'indecifrabile zona d'ombra.
Giardino Pantesco è un fiorire di colori e bagliori luminosi su una base che ricorda un pulviscolo ritmico di stampo sudamericano. Sono le tastiere, mescolate al piano, che simulano un suono d'organo aggiungendo un sentore di calore alla composizione, mentre il piano, per la prima volta boppeggia, ma con quella leggerezza e discrezione che hanno fin qui contraddistinto il pianismo di Lanzoni. La tromba si riempie di allegria in una musica distintamente pittorica e descrittiva.
Santa Venere ha un incedere moderato, piuttosto lento e trasognato che pare anch'esso confluire direttamente in una classica ballad. Un bel tema sorretto dai fiati la cui pietra angolare è l'entrata in gioco della batteria a scandire i tempi, altalenandosi tra rallentamenti e controllate accelerazioni. La trama sonora è convincente, suadente e persuasiva, gli assoli di sax, piano e tromba si susseguono senza premura, badando maggiormente all'interplay e meno all'esibizione personale.
Rosa, il brano di chiusura, è quello più dichiaratamente melodico tra tutti, con la timbrica di tastiera che riprende quella di Giardino Pantesco, impostata “alla Genesis”, tanto per suggerire un modello di suono. Pacatezza, meditazione crepuscolare e tranquillità con un vago retrogusto malinconico è quel che lascia, come coda, quest'ultimo pezzo.
La sobrietà stilistica rintracciabile in questo disco si aggiunge all'impeccabile lavoro d'insieme del quintetto, che senza gratuite altezzosità preferisce presentarsi come un vero e proprio ensemble, anziché come una vetrina di singole capacità tecniche, del resto notevoli senz'ombra di dubbio. Il linguaggio è piuttosto originale e alla stesura sintattica partecipano tutti i componenti in egual misura, contribuendo a una realizzazione raffinata, una rete di linee armoniche tutt'altro che prevedibili e pervase inoltre da profondo lirismo.
Alessandro Presti
Intermezzo
CD 800ARecords
Reperibile in streaming su Qobuz 16bit/44kHz e Tidal 16bit/44kHz