Belle o brutte, ridateci le copertine (e gli LP)

Editoriali
05.11.2012

I Need Nothing - a nearly useless odyssey from Cãoceito on Vimeo.

 

Ci sono quelle dello studio grafico portoghese Cãoceito, che ha creato il video che vedete qui sopra. Le parole della canzone sono riportate come titoli delle copertine di alcuni dischi. Il protagonista, in soggettiva cinematografica, le guarda, gira e sposta per tutta la durata del video. Son oltre duecento, ideate e create da un gruppo di designer, illustratori e artisti che si sono ispirati ad alcune fra le più celebri copertine della storia della musica moderna, pop e rock in particolare, rivisitandole e piegandole a uso e consumo della narrazione.

 

Questo per quanto riguarda quelle che hanno fatto storia. Poi ci sono quelle che invece meritano di entrare in un altro tipo di classifica, quella degli orrori. Nella gallery qui a sinistra, soffermatevi sull’umorismo involontario dato dall’abbinamento di certi titoli di album – tutti veri – con altrettante foto che ne illustrano il contenuto. Sono solo alcuni esempi di una raccolta da brividi, quella del blog Worst Album Covers of All Time, le peggiori copertine del mondo, appunto.

 

Ma non è l’unico, una classifica simile, con tanto di sovrapposizioni, l’ha creata anche il sito Urlesque. Qui, tanto per fare un esempio, esordiamo con l’imperdibile disco di Paddy Roberts dal titolo che colma una lacuna nel panorama discografico mondiale: Songs for Gay Dogs… Come anche è da spuntare un bel Mi piace sul gruppo Facebook Awkward Band and Musician Photos, le più imbarazzanti foto di band e cantanti, vero repertorio di nefandezze in termini di marketing discografico.

 

A quelli che hanno una certa età è sicuramente capitato. Trovate i vostri vecchi dischi. Ne prendete un paio in mano. E un’onda di nostalgia, mista a una dolorosa rassegnazione, vi attanaglia la gola. Come audiofilo, mi mancano gli LP. Come pubblicitario, mi mancano anche le loro copertine. Offrono più spazio espressivo: nel bene e nel male. Si impongono all’attenzione riempiendo tutto lo spazio visivo. Chi non ha appeso o non ha visto appesa una copertina da 33 giri a mo’ di quadro? Era ed è “arte istantanea”, ready made, se poco poco il soggetto o il titolo lo consentono. Certo, sono più costose da realizzare, gli LP sono più ingombranti, siamo all’alba della musica liquida, bisogna andare avanti, dobbiamo smaterializzare i nostri affetti, si deve passare dal possesso inattivo all’uso condiviso dei beni… Blah, blah, blah… Lasciatemi un po’ di nostalgia: quegli oggetti, intendo le copertine, erano fenomenali.

 

Piccola fenomenologia della copertina

Le copertine degli LP sono sempre state più “grandi” della loro apparenza. Ovviamente sono sempre state grandi il necessario, avevano cioè le dimensioni di quanto dovevano contenere, un sottile ma largo LP. Qui si vuole parlare di grandezza percepita, non di quella meramente materiale. Proprio perché la loro forma seguiva così compiutamente la loro funzione, le copertine dei vinile hanno dato l’impressione di essere dei quadri, degli stemmi araldici, delle antenne per i posteri. Da sempre e da subito. Erano immagini autonome rispetto al loro contenuto. Mai e poi mai delle semplici “buste”. Contenevano molto più di un LP. Esprimevano ben altro. Erano il segnale di chi eri. Passeggiare con un iPad sottobraccio, oggi dice che sei “in”. Con un disco di Miles Davis, eri e sei “cool”. A chi sapeva guardare, praticamente diceva che eri uno dei suoi cats.

 

La conferma? I cofanetti, per quanto più ricchi di contenuti, non avevano un filo di appeal rispetto alle copertine. Quelli sì che erano e rimarranno sempre delle semplici “scatole”.

 

Un’altra conferma? Non viene da noi o dal solito ristretto gruppo di audiofili sempre più attempati. Le copertine, come abbiamo in parte già visto, piacciono ai giovani. Ai giovani d’oggi. Il progetto grafico di Cãoceito dice fra le righe che i negozi di dischi sono OK per loro, sono un set plausibile per un video moderno: sdoganato, accettato, vissuto. Se entraste in un negozio di dischi come Marquee Moon, a Firenze – dotato tra l’altro di diffusori Goldenote, non di un boombox – vi stupireste dal numero di ragazzi che lo frequenta.

 

Un’ulteriore conferma arriva da un altro progetto crossover, quello di Sleeveface, di cui trovate qualche immagine nella gallery inferiore. Qui siamo all'apoteosi: le copertine degli album prendono veramente vita. Il procedimento è quanto di più semplice si possa immaginare. Si sceglie una copertina adatta e la si fa coincidere con il proprio corpo, con assoluta fantasia. Quindi si scatta la foto e la si condivide, mettendola in rete. L'illusione può essere stupefacente. I risultati sono freschi, creativi, ironici, a volte persino commoventi. Una vera collezione di emozioni e di voglia di comunicare. Provate a fare altrettanto con il fogliettino di un CD...

 

Insomma, ridatemi la copertina: m'è venuto un gran freddo.

 

 

P.S. Guardatevi It Might Get Loud, documentario del 2008 dedicato alla chitarra elettrica dal punto di vista di tre storici chitarristi rock come The Edge degli U2, Jimmy Page dei Led Zeppelin – tra l’altro – e Jack White dei White Stripes e Raconteurs. Nel film i tre si incontrano e discorrono del proprio rapporto nei confronti dello strumento principe del rock, sulle reciproche tecniche musicali e finiscono anche per suonare assieme. Un imperdibile confronto fra tre diverse generazioni rock. Tutti a suggerirsi titoli di album o a sentire LP, storici e no. Nemmeno un CD all’orizzonte. Tutti e tre si passano compulsivamente solo LP. Manco fossero droghe per uso personale.

 

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di Giuseppe
Castelli
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