I Rachel's, gruppo musicale che amo alla follia, hanno registrato nel 1996 un LP per l’etichetta Quarterstick Records, The Sea and the Bells, ispirato all’omonimo libro di Pablo Neruda, all’interno del quale, tra le tante perle sonore, brillano alcune tracce, che occupano quasi una facciata, in cui vengono riprodotti gli effetti di campane che suonano su un sottofondo di mare in tempesta, pioggia e tuoni. L’atmosfera ricreata è molto evocativa e talmente realistica che ne faccio uso durante i periodi torridi estivi per vagheggiare una stagione più fresca. Sembra un gioco, ma a volte è più efficace di un climatizzatore. L’immaginazione, che è un’esperienza sensoriale priva di logica, ha il potere straordinario di proiettarci in qualsiasi dimensione, ribaltando il nostro stato psicologico. Se poi aggiungiamo anche un commento sonoro, diventa possibile la definizione di noi stessi all’interno di un luogo anelato, dove ritrovare il benessere e l’energia smarriti. La composizione dei Rachel's potrebbe indurci a immaginare di essere su una scogliera brumosa delle Shetland, come in un piccolo centro abitato sulle coste bretoni. Ma anche in un agglomerato prenuragico sardo durante una giornata burrascosa. E, attenzione, la citazione non è casuale… Tutto questo, però, a una condizione. Che sia riprodotta in maniera corretta, pura, genuina. Intendo dire che il disco dovrà girare su un sistema di ascolto di autentica alta fedeltà, in questo caso ancora più stringente, trattandosi di effetti della natura. Al di sotto di certi standard, quei roboanti suoni di bufera potrebbero diventare una pioggerella di fine agosto sul lungomare di Viserba.
Calandomi nella realtà del recensore, triste o gioiosa non saprei, vi confido che il disco citato costituisce un test estremamente attendibile al fine di capire, già dal primo semplice impatto, se un componente inserito in un impianto, come anche un impianto nella sua interezza, possa valutarsi all’altezza del proprio compito. Per “essere all’altezza del proprio compito” intendo l’abilità di donare delle sensazioni, meglio se corrispondenti a quelle che vengono impresse da un autore o compositore quando registra la propria musica, per poi trasferirne i contenuti all’interno di un solco, sulla superficie di un nastro o qualsivoglia altro supporto. Se poi si può aggiungere anche la maestria di far assaporare i colori e le sfumature – sempre naturali, badate – o la risonanza leggera della grenadilla di un oboe, la differenza di consistenza e timbro tra una corda di budello o una metallica, oppure il rimbombo profondo di una pelle naturale, allora cominciamo a sollevare i piedi dalla terraferma. Ma la cosa più stimolante per un ascoltatore rimane la costante ricerca di nuove prospettive e rivelazioni musicali.

Di emozioni e sorprese in questi giorni ne sto vivendo in quantità, concentrate nella mia stanza di ascolto, attualmente luogo di prova di due coppie di diffusori, gli Janas 2020 e gli Swan, prodotti dall’azienda sarda Arte Acustica condotta dall’Ing. Giorgio Todde. Il progetto di una prova si è concretizzato dopo aver scambiato alcune battute in occasione dell’evento dimostrativo presso D’Agostini Lab, del quale ho raccontato in un precedente report qui. Il proposito è stato ulteriormente affinato riflettendo sull’opportunità di un lavoro concentrato su entrambi i modelli in sincronia e alternanza, i quali, pur nella loro diversità estetica, strutturale e sostanziale, sono figli dello stesso DNA, due celebrazioni della stessa dottrina. Lo trovo un atteggiamento molto serio da parte del costruttore. Non è un modus produttivo molto consueto. Spesso le aziende progettano diffusori o elettroniche sfornando esemplari senza linea conduttrice, realizzazioni prive di coerenza progettuale, magari solo al fine di cavalcare le tendenze del momento. Potrei citare come esempio estremo il giradischi con il Bluetooth, un boccone che veramente non riesco a digerire.
I diffusori non sono i componenti più importanti di un sistema audio. Secondo me la sorgente è quella che domina, è lì che nasce il segnale e se questo è un cattivo segnale, non accadrà mai che un altoparlante possa trasformarlo in buono. Tuttavia, se sorgente e amplificazione sono musicalmente ricchi e dotati, le loro virtù potranno essere pienamente manifestate solo con diffusori altrettanto virtuosi. I pregi dei diffusori Arte Acustica li avevamo già saggiati nei precedenti articoli apparsi sulla rivista diversi anni fa. Li trovate nella sezione Diffusori qui. Ora rincontrarli sul cammino, in tour di esibizione con progettista al seguito, è stata una splendida occasione per apprezzarne l’evoluzione, quella delle Janas 2020, insieme alle novità, almeno per me, rappresentate dalle Swan.

Concentriamoci ora sulle prime, che hanno conservato la sagoma e i profili ma sono state decisamente rinnovate nell’ingegneria, sempre con il fermo obiettivo del miglioramento prestazionale, mantenendo l’attenzione a non tradire il paradigma sonoro primigenio. Nulla è stato trascurato, a cominciare dalle connessioni. Sul percorso del cablaggio Duelund DCA16GA Tinner Copper Multistrand, che si dipana da una bella coppia di morsetti WBT-0703 CU W-Pole Terminal in rame puro, non sono presenti saldature, solo crimpature, a vantaggio di un passaggio più diretto e integrale del segnale.
Grande attenzione è stata posta alla cura delle vibrazioni. Il woofer da 25 cm, non molto elevato rispetto alla superficie del pavimento, lavora in una cassa in multistrato di betulla, solidale a una base sismica di circa 35 kg, che conferisce maggiore peso e rigidità alla struttura e garantisce l’abbattimento delle interferenze aeree tra altoparlanti, completata a mezzo del distanziamento tra gli stessi. In realtà quest’ultima soluzione ha una funzione ulteriore, su cui torneremo. Le interferenze citate, dirette e di ritorno, tra diffusori e ambiente, vengono demolite attraverso l’adozione di piedini elastici, che, lavorando in sincronia con la base sismica, migliorano l’interazione tra massa del diffusore e membrana del woofer, liberandone l’energia. Le onde vibrazionali che colpiscono le fiancate laterali del corpo vengono altresì attenuate con l’apposizione di due pannelli in massello, a sandwich con una sfoglia di sughero.
Alla pesante struttura della parte inferiore del diffusore risponde l’antinomia della parte superiore, che, pur costruita in massello di betulla, risulta decisamente leggera, ma dotata di una rigidità notevole, alloggio ideale per il midrange in conformazione dipolo e un tweeter innestato in un cilindro ligneo, in grado di catturare la contropressione generata dal diaframma posteriore gestendone l’onda, evitando così dispersioni e interferenze. Tutto ciò rende il tweeter più espressivo e ricco di micro-dettagli. Il midrange e il tweeter sono vicini e aggregati in un modulo a forma di goccia accordato con il baffle. Il complesso tweeter/cilindro è disaccoppiato dal pannello anteriore a mezzo di una staffa di sospensione. Tale architettura ha effetto sulla distorsione indotta dalle vibrazioni causate dal movimento involontario del punto centrale acustico del tweeter stesso.

Le Swan sono dotate degli stessi aggiornamenti che sono stati descritti per le Janas, ovvero cablaggi, morsetti, multistrato di betulla, rinforzi laterali, piedini smorzanti. Ma incarnano la realizzazione di un progetto, di una teoria, di un principio, che è un fondamentale punto di valore di un diffusore, quello della scomparsa. Quante volte abbiamo sentito pronunciare la tipica frase “questi diffusori suonano benissimo, sembra che scompaiano”. L’espressione è un tantino abusata, nel senso che è molto difficile, specialmente per diffusori di dimensioni importanti, liberarsi di una certa dose di invadenza e prevaricazione visiva. Ma poi, fenomeno che non accade per la linea Arte Acustica, quasi tutte le casse a colonna da pavimento – è una mia idea, non pretendo condivisione – emanano una sensazione di “scatolamento” del suono, un’emissione che fa fatica a uscire dall’immaginario cilindro delle due fonti di diffusione.

Ma, al di là delle caratteristiche sonore che poi analizzeremo, è proprio la forma della Swan che ne favorisce il dissolvimento visivo. La fisionomia del diffusore ricorda quella di un cigno – nero nel nostro caso, in elegante laccatura pianoforte – con una base a forma di parallelepipedo esteso in profondità, laddove è collocato un woofer da 20 cm, anch’esso molto vicino al pavimento, in opposizione al condotto reflex posteriore. Sulla superficie superiore sono alloggiate due coppie di morsetti, per favorire l’eventuale configurazione in biwiring. Poco distante, sulla stessa piattaforma, troviamo un inserto con una cavità che contiene il sistema di sospensione elastica, efficace antidoto per la distorsione doppler, dove avviene il fissaggio di un braccio/telaio in alluminio che si eleva in verticale, leggermente inclinato, proprio a emulazione del collo del cigno. Questo ha una doppia funzione. Il terminale apicale sostiene un tweeter sovradimensionato da 3,4 cm, incorporato in un cilindro analogamente in alluminio, di discrete dimensioni, un piccolo diffusore in sostanza, molto in armonia con lo stile generale. L’altra funzione dello stesso braccio è quella di conduttore di segnale per il tweeter, soluzione tattica che consente di evitare l’uso del classico cablaggio filare.

L’ordine strutturale delle Swan non è rigido ma ampiamente personalizzabile. A cominciare dal citato braccio, che può essere sostituito da un omologo, cosiddetto “tecnico”, il quale consente il collocamento di ulteriori accessori, già ideati organicamente al complesso, ovvero un midrange, una nuova testata con tweeter a cupola da 25 mm, per finire con un supertweeter. Anche il corpo woofer può essere oggetto di implementazioni sistemiche, mediante l’adozione della base sismica su supporti elastici, di massa doppia rispetto a quella totale dei diffusori, ovvero l’aggiunta delle fiancate a rinforzo dei laterali. Insomma, tempi duri per risonanze e vibrazioni, che vengono sistematicamente dissipate, a prescindere dalla fonte di provenienza. Non bisogna pensare che la difesa dalle risonanze sia emblema di un diffusore barricato e poco “socievole”. Al contrario, il tratto distintivo che accomuna tutta la scuderia Arte Acustica è proprio l’estrema cura dell’interfacciamento con le elettroniche.
La buona relazione tra un amplificatore e un diffusore si concretizza soprattutto nell’ambito del damping factor. Il fattore di smorzamento, che si presenta con valori diversi tra ampli a stato solido e valvolari, come pure all’interno delle due famiglie citate. Per favorire la migliore connessione possibile con un ampio spettro di elettroniche, ecco allora che è stato architettato un kit, che contempla un sistema woofer-tubo di accordo per bassi DF.
La vivida progettualità infusa su entrambe le coppie di diffusori trova espressione nella volontà del costruttore di renderli non solo interfacciabili con le elettroniche, quanto anche con colui – anche colei, magari fosse – che ascolta, offrendogli/le la facoltà di essere parte attiva nel raffinamento del messaggio sonoro, sia in relazione all’ambiente, che ai propri gusti. L’intervento più semplice può essere destinato al materiale di assorbimento situato all’interno delle casse, che, nel nostro caso, è la già nota lana di pecora autoctona sarda, naturale al 100%, ecologica, che presenta notevoli caratteristiche di controllo delle onde stazionarie, non incide sulla timbrica del segnale né sulla risonanza dei legni e, con un’efficacia nettamente superiore ad altri sistemi di assorbimento, contribuisce in maniera determinante all’ampliamento virtuale del volume del diffusore, essendo un aggregato di fibre a forma di spirale estremamente adeguato all’imprigionamento degli eccessi sonori. L’utente può facilmente rimuovere i condotti reflex posteriori e modulare la quantità di lana assorbente, con effetti immediati e tangibili sull’emissione e sul sound.
Il racconto di tutte queste dotazioni meccaniche e fisiche sarebbero più che sufficienti a denotare le Janas 2020 e le Swan come diffusori di alto rango. Ma la fascia del prestigio è molto affollata e si sarebbe corso il rischio di essere uno dei tanti, per di più in competizione con brand decisamente più attrezzati sia a livello di budget che di potenza commerciale. Ecco allora che l’Ing. Todde, da studioso esperto di acustica oltre che appassionato, ha deciso di gettare il cuore al di là dell’ostacolo, di urlare un “I have a dream” audiofilo. Lo cito testualmente: “Ci sono produttori di elettroniche che investono ingenti risorse intellettuali e umane per poter eliminare quanto più possibile i componenti passivi nel percorso del segnale, ottenendo spesso dei risultati di assoluto rilievo, non considerando poi che tanto ben di Dio veniva dato in pasto al diffusore, elemento pieno zeppo di componenti reattivi spesso anche di bassa qualità, quindi perché non provare a fare a meno del crossover?”. Sappiamo tutti che l’eliminazione dei crossover non è certo la quintessenza dell’innovazione. L’elemento diversificante deriva dal fatto che i diffusori in argomento non sono dei full range, ma montano altoparlanti, abbiamo visto woofer, midrange e tweeter, che, per natura, possono supportare e sopportare soltanto un limitato segmento di frequenze e quindi, in teoria, avrebbero bisogno di un circuito che operi tagli e incroci con le bande passanti.
Fondamentalmente gli Arte Acustica sono diffusori dinamici, anche se presentano un midrange in conformazione dipolo e un tweeter indipendente. Stiamo comunque parlando di trasduttori “classici”, i quali generano distorsione armonica, di fase, di intermodulazione e di ampiezza, funzionano, come detto in precedenza, entro i limiti di una ristretta banda di frequenza e, per non farci mancare nulla, creano una grande quantità di spurie. Normalmente un woofer lavora fino a 500 Hz, il midrange da 500 a 3.000-5.000 Hz e il tweeter dai 3.000 Hz in poi. Tutte le frequenze eccedenti questi valori incrementano, in proporzione diretta, la distorsione di ognuno degli altoparlanti. Per consentire agli stessi di operare in maniera ottimale è necessario che la banda audio venga suddivisa all’origine. Da qui deriva l’utilizzo dei crossover, abitualmente composti da condensatori, induttori e resistenze, configurati per far passare o attenuare la gamma di frequenze, in modo che la propria e più adatta arrivi a ogni singolo trasduttore. Di uso più comune è il filtro a 12 dB per ottava. Questo sta a significare che nel caso in cui la frequenza di taglio si trovi a 500 Hz, l’ottava successiva, ovvero superiore nella misura di 1000 Hz, subisce un’attenuazione di un sedicesimo rispetto alle frequenze entro i 500 Hz. In questo modo si evita che l’altoparlante riproduca frequenze al di fuori del proprio range, scongiurando distorsioni eccessive. Ma nel campo audio nulla è scontato, tantomeno perfetto. Sfortunatamente i crossover superiori ai 6 dB per ottava sono fonte di ulteriore distorsione di fase, la quale sommata a quelle degli altoparlanti e della struttura stessa della cassa, diventano responsabili di un caos armonico che il nostro udito percepisce e metabolizza come perdita di realismo del segnale musicale e conseguente famigerata fatica d’ascolto, la quale, in presenza di sfasamenti che possono raggiungere anche 180°, può trasformarsi in malessere. La risposta naturale, decisamente risolutiva – anche qui tutt’altro che assoluta – rispetto a tutte le problematiche descritte e analizzate, è l’altoparlante monovia, larga banda, senza crossover.
Nello spazio che passa tra un diffusore dinamico tradizionale multivia con annesso crossover e un larga banda, si collocano gli Arte Acustica, che rappresentano altresì la sintesi di due filosofie audio, delle quali solo i pregi sono stati selezionati, amalgamati e rivitalizzati in un concept nuovo, che l’Ing. Todde sintetizza con queste parole: “È monovia qualunque sistema con uno o più altoparlanti, anche diversi, purché privo di crossover elettrico. Il monovia è da intendersi come sistema nel quale il segnale segue un percorso univoco senza divisioni a monte degli altoparlanti stessi. Può sembrare una provocazione ma, concettualmente, a mio avviso non fa una piega. Ad esempio, il bicono ha un crossover meccanico e il cono principale e quello secondario si comportano come altoparlanti separati. Un altoparlante su pannello caricato a dipolo è soggetto a un passa alto meccanico. La sfida è proprio questa e cioè cercare di far coesistere altoparlanti diversi riducendo al minimo o addirittura eliminando il crossover elettrico, in modo da mantenere i pregi di un monovia tradizionale e di un sistema multivia”.
Sia le Janas che le Swan, infatti, non hanno alcun tipo di filtro. L’unico componente reattivo presente sul segnale è un condensatore Jantzen Superior Z-Caps in serie al tweeter, con la sola funzione di protezione. Lo stesso è agevolmente accessibile al fine di sostituzioni custom.
Ovviamente fare a meno dei crossover non è la soluzione esclusiva al fine di ottenere una emissione realistica e naturale del suono, ovvero per eliminare la distorsione e garantire l’integrità della forma d’onda musicale, è solo un presupposto, che conta zero se contestualmente non viene curato l’allineamento temporale. Il suono si propaga attraverso un determinato mezzo a una velocità costante. Nel nostro caso il mezzo è costituito dall’aria, attraverso la quale l’onda sonora si espande a una velocità che misura 331 m/s con temperatura pari a 0° C, 343 m/s a 20° C, e cresce proporzionalmente all’innalzamento della temperatura stessa, ma mantiene una velocità costante all’interno delle mutate condizioni. Il suono viene generato da un oggetto che vibra e trasmette energia acustica. Se facciamo vibrare due oggetti identici e allineati attraverso identico mezzo, l’effetto sonoro arriverà alle nostre orecchie contemporaneamente. Al contrario, quando una forma d’onda raggiunge una serie di altoparlanti, potrebbe scatenarsi un Armageddon. I driver sono collegati elettricamente, avranno una determinata disposizione fisica, oltre ad essere composti da diversi materiali – magneti, membrane, bobine, sospensioni, cestello – e quindi proietteranno verso l’orecchio dell’ascoltatore frequenze diverse in momenti diversi. Il metodo risolutivo, ampiamente adottato da Arte Acustica, consiste nell’allineare nel tempo gli altoparlanti, in maniera che tutti i fronti sonori generati, giungano alle orecchie simultaneamente. In generale è un risultato cui ci si può approssimare utilizzando crossover di primo ordine a bassa pendenza, oltre che effettuando una sorta di compensazione tra i driver in modo che il tweeter possa emettere il proprio suono un po' indietro rispetto al midrange e così a catena. Utilizzare un crossover di primo ordine comporta che i driver debbano avere un’ampia larghezza di banda oltre la gamma di frequenza ottimale. La stessa tipologia di filtro riduce l’uscita di solo 6 dB in un intervallo, ad esempio, tra 2.000 e 4.000 Hz, producendo una sovrapposizione non trascurabile tra midrange e tweeter, una vera e propria interferenza. Per non citare poi il fatto che il primo, posizionato pochi centimetri più avanti, riflette parzialmente l’uscita del secondo. Aggiungo che, pur nell’ipotesi di riuscire a ottenere un allineamento temporale perfetto, potrebbe realizzarsi la convergenza dei fronti sonori esclusivamente in un punto dello spazio, obbligando l’ascoltatore a non muoversi, pena il degrado della qualità sonora.
Il woofer è il componente meno sensibile all’allineamento e agli incroci con il resto degli altoparlanti e potrebbe anche lavorare in libertà senza subire distorsioni udibili.
Ma cosa accade quando un progetto – di cui Arte Acustica è l’emblema – si fonda sull’eliminazione totale del crossover elettrico? Semplice, accade che bisognerà idearne uno meccanico o acustico, ovvero naturale, ottenuto intervenendo sulle geometrie e le configurazioni.
Ecco allora il senso di un midrange a dipolo e un tweeter con cassa posteriore indipendente, entrambi alloggiati su un baffle leggermente inclinato, atto a veicolare l’emissione verso l’alto, mentre l’asse perpendicolare al pavimento del woofer è avanzato rispetto agli altri due componenti, oltre che molto distante dagli stessi. Woofer che è completamente svincolato e libero di esprimersi. Questo sistema viene definito dal costruttore “interazione a interferenza controllata”, significando che gli altoparlanti, oltre a costituire un carico leggero da pilotare, interagiscono tra loro in maniera non distruttiva ma collaborativa.
Abbiamo fatto cenno all’importanza dell’interfacciamento diffusore-amplificatore e alla ricercata predisposizione dei diffusori Arte Acustica nel raccordarsi con molte gamme di amplificazioni. C’è però un’elettronica, per la quale sia le Janas che le Swan hanno espresso un gradimento particolare, che poi è l’elettronica che ha avuto una presenza prevalente in questa prova, così come l’aveva avuta in occasione dell’evento dimostrativo succitato. Sto parlando dell’amplificatore integrato ItaliAcoustic HSA-05S. ReMusic ne ha già egregiamente scritto, ragione per cui non ritengo di dovermi avventurare in una ulteriore recensione, trovate gli articoli nella sezione Amplificazione qui.
Come già accennato, nel mio sistema, fondato sull’asse Da Vinci Audio/Audio Tekne/Altec, sia i diffusori Arte Acustica che gli amplificatori ItaliAcoustic si sono inseriti alla grande e si sono accordati fra loro, sintomo di elevata sapienza progettuale e notevole valore, perché no, “artistico”. Ogni disco che gira è un evento, un’esperienza, un accrescimento. Ne citerò qualcuno, scelto tra i tanti che ho ascoltato, che si è distinto per impatto emozionale, parametro attraverso i cui effetti ho voluto sperimentare una dimensione di analisi e valutazione del sistema audio, spesso colpevolmente trascurata e in subordine rispetto al tecnicismo e alle misure. Non disconosco l’importanza di queste ultime, ma, parlo a titolo di divulgatore, se vogliamo catturare l’attenzione di chi sta cercando la strada per entrare nel mondo dell’alta fedeltà con il fine di ascoltare la musica in maniera decorosa, non forniremo mai un buon servizio parlando di risposta in frequenza piatta o curve isofoniche.
Dei Rachel's ho già scritto. Aggiungo la prima traccia, Rhine & Courtesan, un’alternanza di violini leggeri e ondeggianti, poi rumori, scricchiolii lignei e cigolii metallici, atmosfere lugubri, poi all’improvviso un attacco di pianoforte martellante su note grevi e timpani percossi con veemenza, ancora quiete a sfumare, poi dramma e archi cameristici con viola, cello e violini a creare atmosfere cinematiche, con l’entrata di piccole campane e clarinetti, dei quali se ne distingue uno basso, grazie alla naturalezza impressionante dell’emissione sonora. Il disco è concepito un po' come una sinfonia e la successione di adagi, allegri e maestosi raggiunge espressioni dinamiche da stordimento. Un esempio riuscitissimo di metamorfosi di poesia in musica.
Altro esemplare di alta intensità musicale è Shabrang, LP della cantante e performer anglo-iraniana Sevdaliza, Twisted Elegance Label, 2020. Trattasi di un lavoro minimalista, giocato sul filo di una voce sussurrata e sofferente nelle sue contorsioni fatte di vibrati orientalizzanti. Lo stile è implorante, quasi una preghiera, che si insinua in un tessuto strumentale asciutto e potentissimo, con delle linee di basso rarefatte ma portentose, sembrano tuoni, a tal punto che potrebbero mettere a dura prova sia i diffusori che l’amplificatore. L’HSA sale in cattedra, non mostra alcun cedimento, esegue il suo lavoro con energia e rigore. Le Janas sono al top e nonostante si trovino letteralmente sotto assedio, riescono a gestire con chiarezza e trasparenza le trame chitarristiche e le electro strutture. Habibi è la sintesi di un progetto che unisce il classico, rappresentato dal pianoforte quasi recitante e il moderno degli effetti synth. Il sintetizzatore raggiunge l’apoteosi in Darkest Hour, con le sue intrusioni dancefloor. Grande è la risposta delle Swan, che danno l’impressione di essere anche esteticamente adeguate a questo stile. Shabrang è un disco perfetto. Onore all’impianto che non me lo ha fatto solo godere all’ascolto quanto letteralmente vivere. Non adatto ai deboli di cuore.
Il percorso emozionale prosegue con 13 Rivers, di Richard Thompson, Proper Records 2018, l’ennesima prova di una classe e un talento creativo che non si esauriscono mai, ma soprattutto la conferma di uno stile formale, ritmico, lirico, timbrico, assolutamente unici e inimitabili. Faccio cenno solo alla prima traccia, The Storm Won’t Come. Su una base di tamburo tribale/militare Thompson esegue uno dei più belli assoli che abbia mai ascoltato, una combinazione di generi che vanno dal celtico al rockabilly, lontano dal mero virtuosismo quanto multiforme nella sua creatività. Il brano è alquanto oscuro, ma le parti di chitarra spiccano luminose e laceranti. Sgorgano dai diffusori in un crescendo di tempesta musicale che esplode nella stanza e non ti lascia riparo. Insieme alla voce animano un distillato di eccitazione che induce l’ascoltatore a bramare la tempesta e a volerne sempre di più. Il suono del disco è estremamente analogico, pane per i denti degli Arte Acustica, che possono esprimere tutte le proprie inclinazioni timbriche, così come le ho descritte nell’articolo.
Nel catalogo dell’intensità non poteva certo mancare The Crying Light, Antony and the Johnsons, Rough Trade 2008, vinile Deluxe 180gr. Antony Hegarty è una cantante transgender inglese trapiantata a San Francisco. Un essere alieno, con una voce altrettanto aliena, che si distende agevolmente tra il falsetto e il controtenore. Ha composto questo disco con un collettivo molto numeroso, una vera orchestra in cui, oltre alle classiche sezioni di fiati e archi, trovano spazio anche chitarre, accordion, basso elettrico e harmonium. Il lavoro si presenta introverso e oscuro, con intermezzi ariosi e melodie che sorgono da note di piano e clarinetto e tramontano in un pieno orchestrale che si inabissa “underneath the ground”, per citare la prima traccia. L’accoppiata HSA/Janas segue la musica nella voragine fino a far tremare il pavimento. Poi arriva l’attacco di Epilepsy is dancing che apre una dimensione più gioiosa, giocata su un duetto pianoforte e chitarra acustica, tra i quali la voce spirituale di Antony pennella bozzetti umorali e morbidi. Una timbrica impeccabile risuona dagli altoparlanti, cristallina e guizzante. Un gioiello di purezza e fascino.
Proseguo la rassegna sonora con una star degli anni ‘60. Parlo di Don Backy e di una versione della nota canzone Sognando, inclusa nell’album Alone Vol. IV, di Gianni Maroccolo, Contempo Records 2020. La rivisitazione ipnotica del brano si fonda sull’alternanza delle voci di Don Backy medesimo e Stefano Edda Rampoldi, mentre Marok ha composto un arrangiamento struggente, abrasivo, lacerante, con un substrato elettronico a sostegno delle linee di basso e chitarra baritono. Un delirio sonoro che ricorda molto lo stile di Nick Cave e Blixa Bargeld. Se vi capita di ascoltare questo pezzo e non sentite neanche un brivido, allora non state bene e vi consiglio una visita medica. Io me ne sto ad occhi chiusi e ogni volta mi commuovo. Il sistema audio ne fa una riproduzione roboante, con picchi dinamici di rara autorevolezza, una scena che non ha confini. Un test durissimo per i diffusori, anche perché l’HSA spinge senza ripiegamenti, pompando energia a profusione. Sia le Janas che le Swan portano a termine la loro performance tecnica egregiamente, mantenendo sempre viva quella linea emozionale che abbiamo erto a parametro interpretativo.
Ora vorrei chiudere con un lavoro che mi ha fornito diversi strumenti utili a capire come si comportassero gli Arte Acustica dal punto di vista audiofilo. Nulla di meglio che il Concerto n. 2, Opera 18, per pianoforte e orchestra di Sergej Rachmaninoff, Living Stereo, nell’interpretazione di Artur Rubinstein al piano e la Chigago Symphony Orchestra diretta da Fritz Reiner. Sto parlando di una registrazione stereofonica tratta da un nastro originale stereofonico a tre piste, realizzata con la tecnica New Orthophonic High Fidelity della RCA. Si narra che furono piazzati microfoni a condensatore nelle migliori posizioni all’interno della Orchestra Hall di Chicago, per assicurare una uniforme riproduzione sonora dell’orchestra. La musica, registrata originariamente su un nastro a tre piste, è stata poi trasferita su un nastro a due piste, combinando le tre piste originali sotto un accurato controllo, per assicurare un corretto bilanciamento stereofonico, un massimo effetto spaziale, insieme a un’ideale gamma di frequenze e di contrasti dinamici. Beh, posso testimoniare che gli obiettivi sono stati raggiunti. Già dalle prime note del concerto emerge la tecnica prodigiosa di Rubinstein, la quale dà risalto alle qualità espressive di Rachmaninoff nel sottolineare le sfumature della musica, esattamente come appare all’avvio del concerto. Gli otto accordi solenni con cui inizia l’opera, ognuno dotato di un colore proprio, ma organici alla stessa frase musicale, si susseguono in un crescendo tale da riuscire già a creare una tensione e un’atmosfera ardenti e drammatiche, tanto da costituire una tra le più grandi introduzioni pianistiche della storia. Dal mio punto d’ascolto riesco a immaginare non solo di trovarmi nella Hall, ma di aver anche preso il biglietto per la poltrona giusta. L’impianto asseconda la tecnica, il fraseggio e la velocità delle mani di Rubinstein senza alcuna alterazione temporale, con una microdinamica da lode. Gli attacchi maestosi dell’orchestra sono pieni, corposi, molto fisici, ampissimi, veramente teatrali per ampiezza e profondità. Si intuisce che gli ingegneri del suono erano molto orientati alla musica, alla stregua degli artisti. Quella musica che respira, parla, soffre e piange. Raramente mi è capitato di ascoltare il suono di un pianoforte così affine alla voce umana. Altrettanto rara l’occasione di poter godere di una sincronia orchestrale così inappuntabile, merito dell’incisione naturale e dell’impulsiva reattività e riproduzione realistica delle Arte Acustica e dell’ItaliAcoustic HSA.
In questa rassegna di stralci di ascolto, proprio in applicazione di un filtro emozionale, non ho pensato fosse utile fare una differenziazione tra Janas e Swan. Ho voluto in questo modo far emergere ancora più chiaramente la materia prima contenutistica, ovvero provare a decifrare e interpretare l’archetipo, la visione e l’ispirazione del progettista. Mi rendo conto che l’audiofilo potrebbe aspettarsi anche un messaggio diverso, scevro da idealismi e sogni. I due modelli, pur essendo membri della stessa famiglia, non sono identici, non sono equivalenti, ancora meno interscambiabili e questo si può tranquillamente intuire leggendo il listino. Non è stato facile definirne i caratteri in maniera perentoria, perché, vista l’alternanza continua dei diffusori, ho dovuto fare i conti con il tempo ogni volta necessario alle mie orecchie e al mio cervello di riadattarsi.

Gli Janas sono dei diffusori completi, ricchi, viscerali, senza alcuna timidezza. Di grande autorità nella parte bassa e quasi sfavillanti nelle sezioni media e alta. Ascoltare una batteria, lo slam della grancassa, il pieno dei tom e i guizzi dei piatti è un’esperienza fisica. Gli attacchi di chitarra, i sustain sono sempre riprodotti con uno stile molto naturale, direi credibile. Le opere orchestrali vengono riprodotte con una seducente e lussureggiante espressività tonale e, sistematicamente, ti viene voglia di alzare il volume. Tutto il fronte sonoro scorre in una fluidità mai artificiosa, con un’armonia che può riscontrarsi solo in un diffusore larga banda.

Le Swan hanno una doppia valenza. Potrebbero costituire uno step di avvicinamento verso le Janas, come pure essere scelte come diffusore definitivo. A un prezzo, tutto sommato, da considerarsi basso nel mondo dell’Hi-End, possono ripagare con risultati sonori sorprendenti. Sono state progettate con cura e metodo, oltre che con componenti di alta qualità. Avendo una gamma media cogestita tra woofer e tweeter, è evidente come non possano eguagliare l’accuratezza e i piani sonori costruiti dalle Janas. Ma il tweeter, in virtù del sovradimensionamento e della struttura di accoglienza, oltre che alla collocazione sostanzialmente libera e condizionata solamente dalle dimensioni dell’ambiente, al riparo da ogni forma di diffrazione, riesce a sviluppare un’emissione piena, ampia e profonda, ben accordata con la riproduzione del woofer, il cui allineamento rasenta la perfezione, anche se con meno profondità rispetto alle Janas, in confronto alle quali la parte bassa, se parliamo di punch assoluto, risulta più esile, ma in favore di precisione, controllo, reattività e realismo sbalorditivi. In questo progetto le descritte teorie del crossover meccanico/acustico e dell’interazione collaborativa trovano la massima espressione. Ogni volta che ho pensato che un genere musicale potesse non funzionare adeguatamente con i transienti leggermente più morbidi delle Swan, ho dovuto ricredermi. Ricostruiscono un’imaging stereo centrale molto stabile, leggermente sfumata quella laterale. Al cospetto di tutte quelle registrazioni, diciamo così, non manipolate, ovvero effettuate ad esempio con microfoni Blumlein o Coles, famigerati per la loro naturalezza – la suite Firebird di Igor Strawinsky su tutte – non ho potuto fare altro che starmene seduto a godermi la musica fino all’ultima nota, senza troppi sofismi.

Le conclusioni dell’articolo possono essere già individuate nella trattazione. La prova è stata un po' diversa dalle altre, non fosse altro per il fatto che ho dovuto smantellare una stanza per manovrare le due coppie di diffusori, con i quali convivo ormai da oltre tre mesi. Le manovre di cui sopra sono state molteplici, perché gli stessi si sono rivelati molto sensibili al posizionamento. Lo intendo con un’accezione positiva, nel senso che ogni minimo spostamento dei corpi equivale a una modalità di ascolto differente, con un ventaglio di opzioni che ogni utente può ritagliarsi secondo la propria sensibilità o esigenza ambientale. Hanno sempre risposto in maniera impeccabile alle incessanti sollecitazioni provenienti da quella macchina al servizio del suono che risponde al nome di ItaliAcoustic HSA. Il loro modo di suonare, così libero, naturale, arioso, oserei dire “easy”, è risultato essere sempre coinvolgente e desiderabile. Oltre che anello di congiunzione tra la bassa e l’alta efficienza, gli Arte Acustica sono diffusori scacciapensieri, versatili e con il sublime talento di regalare emozioni all’ascoltatore. Sono la testimonianza concreta che le porte di accesso all’alta fedeltà sono molteplici. Avvicinatevi alle Swan, andate a conoscere le Janas, come le omonime fatine potrebbero cambiare il vostro destino audiofilo.
Caratteristiche dichiarate dal produttore
diffusori Swan
Range di frequenza: 40Hz-20kHz
Sensibilità: 95dB 1W/1m
Impedenza tipica: 8ohm
Cassa: multistrato di betulla
Base sismica: acciaio inox, optional
Morsetti: WBT-0703 CU W Pole Terminal in rame puro senza giunzioni
Cablaggio: Duelund DCA16GA tinned copper multistrand wire in cotton and oil, cavo singolo su tweeter e doppio su woofer
Condensatore: Jantzen Superior Z-Caps
Componenti: woofer 20cm e tweeter 3,4cm con un solo condensatore
Volume: 36litri
Dimensioni: 25x120x60cm LxAxP, altezza solo box 35cm
Peso: 25kg
Disponibili sia per amplificatori con alto che con basso fattore di smorzamento
diffusori Janas 2020
Sensibilità: 95dB 1W/1m
Impedenza tipica: 8ohm
Cassa: multistrato di betulla
Base sismica: acciaio inox
Morsetti: WBT-0703 CU W Pole Terminal in rame puro senza giunzioni
Cablaggio: Duelund DCA16GA tinned copper multistrand wire in cotton and oil, cavo singolo su midrange e tweeter e doppio su woofer
Condensatore: Jantzen Superior Z-Caps
Dimensioni: 34x120x34cm LxAxP
Peso: 60kg
Disponibili sia per amplificatori con alto che con basso fattore di smorzamento
Distributore ufficiale Italia: vendita diretta, al sito Arte Acustica
Prezzi Italia alla data della recensione:
diffusori Swan a partire da 5.500,00 euro, compresa spedizione, collaudo strumentale sul posto e rilascio di certificazione corredata di misure; la coppia oggetto della prova ha un prezzo di 6.500,00 euro per cablaggio e finitura
diffusori Janas 2020 a partire da 13.500,00 euro, compresa spedizione, collaudo strumentale sul posto e rilascio di certificazione corredata di misure; la coppia oggetto della prova ha un prezzo di 16.000,00 euro per cablaggio e finitura
Sistema utilizzato: all’impianto di Giuseppe “MinGius” Trotto