Domi & JD Beck | Not tight

09.09.2022

Tutti, ma proprio tutti, in questo periodo stanno parlando di una coppia di spregiudicati e giovani musicisti che sembrano in grado di smuovere alle fondamenta l'estetica del jazz. Che questa musica sia in rapida evoluzione ormai è sotto gli occhi della maggioranza degli appassionati, ma che la trasformazione possa avvenire attraverso l'operato di due ragazzi, fanno quarant'anni in due, cioè Domi e J.D. Beck, beh... è da discutere.

 

Domi – all'anagrafe Domitille Degalle – è una ragazza francese nata vicino a Parigi poco più che vent'anni fa che suona molto bene le tastiere e lui – James Denis Beck – è un ragazzo che vent'anni ancora non li ha ed è di Dallas, Texas, e suona benissimo la batteria. I due mi avevano veramente colpito quando li vidi casualmente in un video girato in prepandemia sul Tubo. Mi avevano trasferito l'impressione di essere dei talenti naturali, quasi dei ragazzi prodigio, accendendo quindi la mia curiosità. Sospinti da un battage pubblicitario come non ricordavo dai tempi di Norah Jones, Domi & Beck riescono ad accasarsi presso la Grande Madre Blue Note, anche se il loro primo lavoro, Not tight, esce nominalmente sotto l'etichetta Apeshit, che tradotto suona più o meno come “incazzatura”.

 

La loro musica è dominata dall'elettronica, si fa quasi fatica ad ascoltare uno strumento che non sia “contaminato” da qualche effetto digitale, ma possiede una freschezza che poche volte riusciamo a percepire nei dischi di esordio. Dimenticatevi della tradizione, salutate il mainstream e siate pronti a saltare a piè pari in questo nuovo, cefalalgico groove in cui musica, canzoni e ritmi s'incanalano apparentemente in nuove strade.

 

Ma sono proprio vergini, queste scelte? La collaborazione con Herbie Hancock, che Domi & C. riescono a strappare, mette la classica pulce nell'orecchio. E questo “effetto Chicago” non è solo nella presenza dello storico pianista ma in tutto il sistema progettuale di questo disco che risente, giustamente, soprattutto delle suggestioni della Windy Town e di tutto il materiale che da qualche anno vi ribolle. Per avere un'idea più delineata potete andare a pescare – con lo streaming è facile – un disco come The Chicago Experiment di Greg Spero oppure New Gospel Revisited di Marquis Hill, che potete ritrovare tra le recensioni di ReMusic. Si riuscirà meglio allora a profilare la musica di Not Tight e probabilmente a capire come si è arrivati a tutto questo, partendo da una base soul e funky-fusion e arrivando poi a un notevole livello tecnico caratterizzato da ritmi che si accavallano, si frantumano, roteano continuamente su loro stessi. Le melodie sono complesse, poco cantabili e risentono di quella cultura hip-hop che appartiene al loro produttore, il cantante rap e musicista Anderson Paak. Ci sono anche ospiti di riguardo, come il cantautore canadese Mac DeMarco, il chitarrista di Philadelphia Kurt Rosenwinkel e il già citato Herbie Hancock tra i nomi più appariscenti.

 

Domi & JD Beck - Not tight

 

Già il brano iniziale, Louna's Intro, è sorprendente con veri archi che si aggiungono alla tastiera e un mood sinfonico che ricorda certe atmosfere alla Bernstein.

Whatup ha un inizio molto dolce e melodico ma ben presto tastiera e bassi ci trascinano verso echi di musiche jazz-rock anni '70, che sembrano girare però molto più veloci rispetto a un tempo. La batteria fraziona continuamente i suoi battiti, la tastiera scorre fluida sotto le dita di Domi e insomma si tratta veramente di un inizio fulminante con questi primi due brani dell'album.

Quando è la volta di Smile entriamo in pieno clima soul con i tempi che si fanno relativamente più moderati. Se comunque prestiamo attenzione alla linea melodica, ci accorgiamo di come l'architettura flessibile che la caratterizza sia tutt'altro che banalizzante, con dei salti intervallari di quarta e quinta maggiore che troveremo spesso nello sviluppo dell'intero lavoro.

Bowling è il primo brano cantato che incontriamo e la voce solista è del cantante e polistrumentista Thundercat con un controcanto di Domi, qui impegnato anche in un incredibile basso elettrico ben percepibile sul lato sinistro della riproduzione stereo. Ancora e sempre soul con un maquillage ritmico ed elettronico di grande presa emotiva: ci si ricorda un po' di Donald Fagen in alcuni passaggi...

Con il brano omonimo dell'album, Not Tight, andiamo a finire dritti dritti in un ritmo a metà tra il dub e l'hip-hop, ma invece di una voce recitante che faccia rap ascoltiamo un fantasioso intreccio di strumenti con l'ombra sorniona di Hancock alle spalle, sempre con quelle sequenze incredibili di salti armonici – sembrano aboliti gli accordi di passaggio – e un assolo di chitarra che fa il paio con un subitaneo intervento di Domi a rispondere, magari un po' meno freneticamente. Verso l'ultima parte del brano c'è una pausa e una ripresa che fa pensare a un cambio di passo e così effettivamente è, anche solo per pochi secondi.

Two Shrimps ci rilancia nell'ambito soul con qualche sfumatura pop in più anche se il cantato è leggermente meno originale della media. Si tratta di uno strano brano che si può collocare a metà tra la black music e i vocalizzi di Wendy Smith dei Prefab Sprout.

U don't have to rob me si risolve nell'ambito del duo con un andamento curioso, un beat elastico e cangiante che ricorda certe melodie sovrastrutturate della scuola di Canterbury e del resto l'europeismo di Domi potrebbe aver inciso su alcune delle scelte estetiche di questo album.

In Moon interviene direttamente Herbie Hancock al piano e al vocoder. Il cantato è in questa circostanza più vicino a quegli standard melodici dell'America bianca degli anni ‘40-'50. Il musicista di Chicago interviene con molta delicatezza con la tastiera, limitandosi in un primo tempo a degli interventi coloristici e preferendo intercalarsi a tu per tu con lo strumento di Domi. Ma nella seconda parte del brano Hancock esplode con un intervento che più jazz non si potrebbe, dilagando in scale che faticano a restare in ambiente tonale. La risatina di soddisfazione che si sente nel finale suggella infatti la sua partecipazione, come la classica ciliegina sulla torta.

Duke perde un po' di mordente e mi sembra il brano più debole della raccolta, una sorta di nu-jazz francamente dimenticabile.

Take a Chance è un classico soul-rap in tutto e per tutto con un bel coro a ritornello. Anche questa traccia, al di là della sua intrinseca piacevolezza, pare fuori sintonia rispetto al contesto.

Space Mountain riprende il filo del discorso “interrotto” riproponendo quel jazz-rock-fusion che si agita sotterraneamente nelle viscere di questo disco. Dopo una non piccola sosta, tanto che sembra che la traccia debba finire, come spesso accade lungo gli sviluppi della musica di questo duo s'innescano altri ritmi più compressi e tastiere che vanno mille all'ora.

Pilot è un altro di quei rap circonfusi di soul impostati sulle voci di tre ospiti, Snoop Dog, Busta Rhymes – ma di nomi “normali”, questi hip-hoppisti, mai? – e lo stesso Anderson Paak, proprietario della già nominata etichetta Apeshit.

Si respira altra aria meno fumosa con Whoa, dove finalmente compare una “normale” chitarra elettrica ben suonata da Kurt Rosenwinkel in pieno stile fusion con qualche assonanza alla McLaughlin. Tutt'attorno impazzano i ritmi serratissimi di Beck e qualche apparizione ad hoc delle tastiere. Anche qui solito trucchetto finale. Sembra che il brano sia terminato e invece cambia tutto. Addio chitarra, è stato bello ma è durato poco e la coda se la canta e se la suona interamente il duo Domi-Back.

Con Sniff l'album entra in una fase di stanca e il brano sembra un sunto poco convinto del lavoro fatto sinora.

Thank U è il brevissimo saluto, moderato e melodico, con cui il duo ringrazia e, appunto, saluta.

 

Domi & JD Beck 

Allora, riassumendo. Buon lavoro, divertente, a tratti esuberante, che come tutti i più recenti orientamenti nell'ambito del jazz ama le poliritmie e le disarticolazioni temporali. Grande profusione di elettroniche e, magari, l'aggiunta in più di qualche strumento in purezza non avrebbe guastato. Le matrici sono quelle che già si conoscono e sono le ben note postazioni della musica nera, cioè il soul, il rap, il funky, con una geografia in continuo movimento tra New York e Chicago negli USA e qualche capatina nella vecchia Europa. Non discuto la freschezza, veramente notevole di tutto l'album, ma mi sovviene una muta domanda. Dove sta la novità così sbandierata a destra e a manca? Il sospetto della macchina mediatica pubblicitaria che spinga il nuovo prodotto sopra tutto e tutti c'è e non è di poco conto, anche se sulla bravura e sulla classe dei due musicisti titolari dell'album non si discute. Sul fatto che poi il nuovo jazz si debba concentrare giocoforza tra questi scavallamenti di generi è tutt'altra questione e su quest'ultimo punto non resta che aspettare, nel tempo, per vedere come andrà a finire.

 

Domi & JD Beck

Not tight

CD, vinile – anche rosa – e musicassetta Blue Note 2022

Reperibile in streaming su Qobuz 24bit/44kHz e Tidal MQA

di Riccardo
Talamazzi
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