Introduzione
Oh, finalmente! In prova un amplificatore finale non troppo costoso, potente, a una prima occhiata ben costruito, italiano. Questo mio iniziale entusiasmo è dovuto al fatto che questo tipo di oggetto rientra al 100% nella visione dell’hi-fi che ho io attualmente. Mi spiego meglio. Ovviamente gli oggetti d’alto rango e a volte di solo brand, tipo Mark Levinson, Audio Research, McIntosh, ecc… sono come Ferrari, Porsche o Lamborghini, fatte per far sognare i più e destinate a pochi. Giusto e logico che ci siano, sia i superampli che le supercar, a volte ci sono vantaggiose “ricadute” tecnologiche sui modelli più economici. È anche utile che l’appassionato si tari l’orecchio ascoltando certe meraviglie, sempre con lo spirito di cercare di migliorare a piccoli passi il proprio impianto. È un dramma invece quando l’ascolto porta a risultati opposti: c’è anche chi rinuncia all’hi-fi, pensando che mai potrà arrivare a certi livelli. E quindi pensa... sia meglio cambiare hobby! Forse il punto è questo: come è vissuta l’hi-fi, se è solo un passatempo o una passione. Tornando alla mia visione, quella alla quale accennavo prima, questi finalini consentono all’appassionato di passare da una prima configurazione di impianto, dove quasi sempre è presente un amplificatore integrato, a uno step successivo che prevede pre e finale. Può essere che fino a una certa cifra la soluzione amplificatore integrato sia meglio: si trovano in commercio molti modelli veramente ben suonanti, non ci sono la possibilità di accoppiamenti sballati dal punto di vista elettrico e sonico e un cavo in più da scegliere, e pagare. Però, vuoi mettere, due telai is megl che one, come si diceva in una vecchia ma ancora simpatica pubblicità. C’è chi poi a volte torna all’integrato, ma almeno si è tolto la soddisfazione. C’è chi prosegue nel cammino di sperimentazione audiofila, diciamo così, e va acquistando altri finali più potenti o più raffinati o che gli piacciono di più. Mi sembra quindi che finali come l’Altason possano contribuire ad alimentare la passione per gli impianti di riproduzione della musica. E coi tempi grami che corrono, il prezzo di questo finale si può dire anche alla moglie!
Analisi tecnica
Altason Elettroacustiche Italiane recita la scritta sul frontale. Made in Italy, in grosso sul pannello posteriore. È incoraggiante, specie in un’epoca come questa, sapere che giovani realtà italiane credono ancora nell’hi-fi, nella passione per l’ascolto musicale di qualità, nella valenza sociale e culturale della musica. Altason è un progetto interamente e credo orgogliosamente italiano. Dietro a questo nuovo marchio c’è Troniteck Distribuzione, azienda di Pombia, Novara, specializzata dal 2009 nella distribuzione di apparecchiature Hi-Fi, che ha curato il design e il progetto, demandando a EAM Lab, azienda di Parabiago, Milano, la progettazione e la costruzione della parte elettronica. Vi invito a leggere, sempre su ReMusic, la prova del finale HA 300, curata da Mauro Simolo, per sapere di cosa sono capaci le elettroniche EAM Lab!
A un primo esame visivo l’amplificatore si presenta bene, lo chassis è in metallo trattato 15/10 per prevenire vibrazioni indesiderate. C’è da segnalare solo un piccolo difetto della parte laterale del cabinet, che non scende per qualche decimo di millimetro sulla sua battuta prevista e quindi flette un po’, ma il costruttore mi ha assicurato che è relativo solo ai primissimi modelli e stanno già ponendo rimedio. Sempre per la guerra santa alle vibrazioni, Altason ha piazzato sotto l’ampli quattro piedi conici in metallo tornito, molto ben realizzati, che appoggiano su altrettante sottopunte, anch’esse metalliche e in dotazione, con alla base un gommino incollato, che può facilmente essere rimosso se si preferisce che non ci siano elementi elastici tra ampli e piano d’appoggio. Il pannello anteriore, in metacrilato, spesso quasi un centimetro, presenta solo il pulsante d’accensione/spegnimento e un piccolo LED che lampeggia fino a quando il controllo dell’intero sistema viene concluso e il check ha dato esito positivo. L’Altason R1 è curatissimo da questo punto di vista: due relais da 30 A fanno parte di un circuito preposto alla protezione dei diffusori collegati, ci sono anche una protezione termica, una protezione sulle alimentazioni dei dispositivi finali e un circuito che ripolarizza la corrente dei finali in caso di eccessiva dissipazione. Tutto questo sistema di protezioni dell’apparecchio è di derivazione professionale, qui si vede che è stata messa a frutto l’esperienza di EAM Lab. Sul retro troviamo: vaschetta IEC, portafusibile, quattro connettori in metallo rivestito in plastica, secondo le norme, per il cavo di potenza, due prese RCA per il cavo di segnale normali e altre due prese RCA contrassegnate con la scritta “Link”, per collegarci un altro finale in caso di biamplificazione.
Aprendo l’R1 si notano subito un bel dissipatore di calore in alluminio che, per garantire un miglior contatto termico con i transistor finali, è lavorato a specchio e un trasformatore toroidale realizzato in Italia su specifiche Altason con spire interlacciate ad alta induzione per diminuire vibrazioni e fenomeni di induzione elettromagnetica. Ben fatta anche la PCB in vetronite a doppia faccia, con piste ordinate e saldature in base argento. Transistor finali di qualità audiophile, della ISC Semiconductor, resistenze di precisione e quattro condensatori elettrolitici audiograde Rubycon da 6.800 microfarad l’uno completano il quadro dell’amplificatore. Sembra davvero che non si sia badato al risparmio, soprattutto nei punti più critici, quelli che dovrebbero influenzare la qualità sonora, al di là ovviamente del progetto. È realizzato davvero con cura, per quel che costa. Per non farvi andare subito alla fine dell’articolo, dove è scritto il prezzo, vi dico che di listino costa 1.099 euro. Babbo Natale è già in preallarme. E tra poco leggerà se il suono è all’altezza del resto.
Ascolto
Per valutare le qualità del finale R1 ho usato in particolare, e vi raccomando di ascoltarlo, questo disco: Same Girl di Youn Sun Nah, pubblicato dalla ACT. Si tratta di una cantante coreana, ma, tranquilli, non iniziate a sbadigliare, non è musica coreana! L'album ha raggiunto la prima posizione delle classifiche jazz in Francia, ed ha ricevuto il premio Choc da Jazzman/Jazz Magazine, nota rivista francese del settore. Ho scoperto che questo è il suo settimo disco, mentre ero convinto, non conoscendola affatto fino a poco tempo fa, che fosse il primo.
Nata in Corea, figlia di un direttore d’orchestra e di una cantante classica, Youn Sun Nah possiede una camaleontica capacità di esprimersi attraverso stili diversissimi tra loro, spaziando dalla chanson francese al jazz, dal rock alla bossa nova, dal pop alla musica tradizionale coreana. La sua formazione parte da studi di musica classica, ed ora spazia fino alla world music e all’avanguardia.
Con Youn Sun Nah (voce, kalimba, kazoo) suonano Ulf Wakenius (chitarre), Lars Danielsson (basso acustico, violoncello), Xavier Desandre-Navarre (percussioni), Roland Brival (narrazione). Iniziamo l’ascolto.
Dopo poche note di kalimba, strumento nato in Africa e fatto in origine con lamelle flessibili di legno o metallo applicate su una cassa o su una zucca, si riconosce My Favorite Things. Solo questo e la voce della cantante coreana. L’amplificatore deve rendere il tipico suono di questo strumento, metallico ma non stridente e soprattutto la particolare e delicata atmosfera che pervade tutto il brano. Per ora ci siamo, delicato ma deciso, l’Altason fa il suo dovere con buona grazia.
Un altro pezzo abbastanza famoso, My Name Is Carnival, del cantautore americano Jackson C. Franck, è impreziosito dalla chitarra di Ulf Wakenius. Benissimo per valutare oltre la voce anche il timbro dello strumento e lo sfregamento delle dita sulle corde. La chitarra è riprodotta nitidamente e viene dato giustamente rilievo anche al “corpo”, alla cassa armonica della stessa.
Breakfast In Baghdad, di Wakenius. Il gioco si fa duro, e i duri cominciano a giocare. Chitarra e voce, voce e chitarra. Le corde vocali di Youn Sun e le corde della chitarra di Ulf si fondono, si rincorrono, si integrano. Grande prestazione della voce con abbondanza di acuti e vocalizzi inseriti in una atmosfera mediorientale, il tutto supportato da un gran accompagnamento di basso e percussioni che l’R1 riesce a restituire senza batter ciglio.
A seguire Uncertain Weather, della stessa Nah. I toni bassi iniziali sono correttamente profondi, la voce, in questo brano dolente, è sempre ben riprodotta, il suono della chitarra lucido, con la giusta tensione.
Viene proposta poi una rilettura di un brano non tra i più famosi di Sergio Mendes & Brasil’66 , Song Of No Regrets. Sono andato a sentirmi l’originale cantato nel disco di Mendes da Lani Hall, moglie di Herb Alpert, per poter capire come lo propone Youn Sun Nah. Non è pignoleria, è per conoscere, ricordiamoci che la musica è cultura, anche se di questi tempi in Italia non se lo ricordano o non lo sanno in molti. Ebbene, la reinterpretazione è di gran classe, per me di gran lunga superiore all’originale. Il violoncello iniziale poi da un ulteriore pizzico di qualità e raffinatezza. Qui la giovane artista coreana mi ricorda, anche se i timbri vocali non sono nemmeno paragonabili, Marianne Faithfull, sia per l’intensità espressiva che per la capacità evocativa.
Kangwondo Arirang: tradizionale coreano, è considerato inno nazionale non ufficiale della Corea. Molto carino proporlo in un suo disco da parte della Nah. Esotico e delicato, non ci fa presagire che brano verrà dopo.
No, non ci credo! Enter Sandman dei Metallica! Ma cantato alla maniera sua, di Youn Sun Nah, assolutamente personale. Partenza tranquilla, niente a vedere col Metal, ma poco dopo crescendo vocale pazzesco che sfocia prima in acuti e poi addirittura in un canto che diventa urlo, per ritornare a sussurri, al canto e a gridolini acutissimi da supertweeter. Meglio ascoltarlo che leggerlo, di sicuro. L’originale, ovvio, è un’altra cosa, ma vi posso assicurare che vale la pena di ascoltare anche questa personalissima versione. Credo non siano molte le cantanti disposte a rischiare e a mettersi in gioco con un brano così. E l’ampli? Fa così bene quel che deve fare che l’ho completamente ignorato!
Ottavo pezzo con kalimba in apertura, suonata dalla stessa Nah che se la cava bene anche con gli strumenti, dove la voce si fa malinconica, intensa, sempre emozionante. Si tratta di Same Girl, un omaggio al grande Randy Newman.
Moondog. Qui vanno ascoltati con attenzione i piatti della batteria e il basso. Metallici i primi e ben frenato il secondo. Ma anche la voce e la chitarra suonano bene. Come del resto l’Altason. Che non fa una piega nemmeno dopo tre minuti quando chi ti arriva, inaspettato? Il suono spernacchiante del kazoo, nobilitato dall’invito a suonare in un brano jazz.
Tamburi e voce, che racconta di patatine, cioccolata, gelato e cibi vari. E’ Pancake, composizione tutta di Youn Sun Nah. Spero vi stiate ingolosendo sia dell’ottimo disco che dell’altrettanto ottimo finale di potenza italiano.
Dato che attualmente vive in Francia, l’artista coreana canta in francese come ultimo brano La Chanson d' Hélène, credo come omaggio alla nazione che la ospita. Ancora una bellissima interpretazione, suadente, seducente, romantica. Con il plus di interventi vocali di Roland Brival, musicista, cantante e scrittore, la cui voce va fatta assolutamente ascoltare alle nostre mogli, che forse in questo caso apprezzeranno un po’ di più l’hi-fi.
Per finire cosa posso dire di questa Youn Sun Nah? Una cantante che reputo davvero brava, preparata, interprete a volte irriverente, a volte melodrammatica, in senso positivo, a volte romantica ma sempre con una invidiabile voglia di sperimentare, di reinventare, di scoprire generi vecchi o nuovi senza badare a etichette, confini, lingua. Una musicista che tra l’altro non si limita a interpretare, ma che spesso “smonta” una canzone o una melodia per poi riproporla strutturata/ristrutturata alla sua maniera. Come il Sonny Rollins dei tempi migliori.
Con questo amplificatore e questo disco succede una cosa curiosa. Questa volta non è un prodotto dell’Est, non troppo costoso, a riprodurre bene una ottima voce italiana, ma è un bel prodotto italiano, non troppo costoso, a riprodurre bene una bellissima voce dell’Est.
Conclusioni
Il nostro Altason ha partecipato alla prova molto bene. Entrato in punta di piedi, ne è uscito a testa alta. Mi ha veramente sorpreso. Dopo un buon periodo di rodaggio ha espresso un suono notevole e non solo in rapporto al prezzo a cui è offerto. Può essere abbinato a diffusori da pavimento di buon livello oltre che a minidiffusori da 82-84 dB. Sentite come sanno suonare se collegati a un 200 watt: dettagliato ma non freddo, costruito con attenzione e tutto in Italia, con un rapporto qualità/prezzo secondo me vincente. Con i giusti accoppiamenti l’Altason può dare un sacco di soddisfazioni. Un mio amico dopo averlo ascoltato e apprezzato da me, l’ha voluto provare nel suo impianto. Adesso trovate in vendita nell’usato un finale in classe D, abbastanza valido, ma non così ben suonante nell’accoppiata con le sue Focal.
Caratteristiche dichiarate dal produttore
Trasformatore: toroidale Audio Grade Custom
Classe di amplificazione: AB ad alta polarizzazione
Ingressi: due stereo
Sensibilità d'ingresso: 1,1Vrms full power a 4ohm
Z in unbalanced: 47kohm+100pF
Uscite di potenza: due coppie SX/DX
Potenza RMS 8ohm: 200+200watt
Potenza RMS 4ohm: 350+350watt
Risposta in frequenza: 15Hz-70Khz
THD+Noise: <0,02% a 4ohm/1Khz
Fattore di smorzamento: >250 10-400Hz a 4ohm
Rapporto S/N: >104dB
Distorsione d’intermodulazione: >70dB
Rated Voltage Output RMS: 35volt
Max Rated Voltage Output RMS: 65volt
Filtraggio: 32.000μF
Corrente massima: 30A full power a 2ohm
Dimensioni: 42.5x14.8x42cm LxAxP con sottopunte
Peso netto: 11,9kg
Durata garanzia: tre anni/36 mesi
Tipologia assistenza: on site, con ritiro e riconsegna al cliente
Distributore ufficiale per l’Italia: al sito Troniteck
Prezzo Italia alla data della recensione: 1.099,00 euro
Sistema utilizzato: all'impianto di Ulisse Pisoni