Chi, disorientato da pandemie e guerre, leggesse qui l’elenco del materiale da me posseduto negli anni, scoprirebbe che ho usato le elettroniche di tre generazioni di Manley: da quelle del capostipite David, con i Manley Monoblock 120 e il rimpiantissimo pre Manley Control Master, continuando con i finalini Mahi, tra le prime fatiche della quinta moglie EveAnna Dauray Manley, che ha preso sulle proprie spalle e portato oltre l’immaginabile la sua azienda, e passando per quelle del figlio Luke, con i finali VTL MB-125 qui in esame.
Dalle vicende famigliari e aziendali dei Manley si potrebbe trarre una discreta telenovela, che potete leggere per sommi capi qui, ma ricordo che anche la storia della distribuzione di questi prodotti nel nostro paese ha tratti da commedia all’italiana. I due marchi Manley Labs e VTL sono stati infatti sedotti e abbandonati, per poi essere nuovamente sedotti e nuovamente abbandonati. È per questo che, preso dalla nostalgia del classico push-pull di tetrodi, ho optato per i monoblock di Luke Manley, importati da circa sette anni dalla Audio Living Design degli affidabili gemelli Cristiano e Davide Bastianelli, sicuramente noti anche per essere i produttori dei Music Tools. Con qualche rimpianto peraltro, visto che, se la reperibilità delle elettroniche della Manley Labs è ondivaga, l’interfaccia online con l’assistenza di EveAnna è sempre stata esemplare. Sia come sia, una volta ordinati i due finali, su preciso impegno di consegna da parte dei predetti gemelli e di Marco Angelucci dell’omonima Hi-Fi, ho scritto alla VTL per sapere se sull’ordine stesso si potevano montare i frontali della versione precedente. Ahimè, silenzio. Ho scritto altrove e ripeto caparbio che una comunicazione efficace con produttore, importatore e venditore debba fare parte integrante del rapporto prezzo/valore. Per contro, lo stesso Marco, pur di mantenere l’impegno, è montato sul suo SUV e, traversando le nevi dell’Appennino, me li ha portati in casa.
Prima di spiegare la prova, qualche dettaglio. Si tratta di uno schema derivato dal manuale Radiotron degli Anni ’30, che trovate anche in download qui, e rimasto largamente inalterato nelle varie produzioni push-pull di tetrodi o pentodi, alimentazione perlopiù regolata, rettificazione a stato solido, controreazione moderata, possibilità – un tempo esotica e oggi comune – di scegliere fra una configurazione a triodo oppure a tetrodo. Quest’ultima sugli MB-125 viene indicata appunto come a tetrodo, mentre su altre genealogie di modelli viene definita ultralineare. La questione, insolubile in assenza di schema, è in ogni caso nominale, visto che comunque di un caricamento distribuito si tratta. Assente invece la selezione di tre diversi livelli di feedback, caratteristica dei prodotti della Manley Labs, mentre l’impedenza di uscita è fissata a 5 ohm, valore comune, per quel che so, a tutti i prodotti della dinastia.
La costruzione interna si basa su di uno schedone eseguito a regola d’arte e una filatura ordinatissima, con un livello di ingegnerizzazione nettamente superiore a quello dei miei originari Monoblock 120 della fine del secolo scorso. Le valvole fornite con i miei esemplari sono 4 coppie selezionate di KT77 di produzione Reflektor, marchiate per l’occasione Genalex Gold Lion e due coppie di 12AT7 della JJ, oltre a una coppia di tetrodi di ricambio. Le finiture sono spartane ma impeccabili, la messa in opera è elementare per chi abbia dimestichezza con il bias fisso.
Rimosse le pleonastiche gabbie protettive, il bias va regolato col cacciavite in dotazione e un multimetro, quest’ultimo peraltro non incluso. Per onorare la tradizione ho usato il multimetro a puntali giallo fornito a suo tempo con i Mono 120 e ancora sulla breccia dopo tanti anni. Vale sempre la regola per cui una variazione del dieci per cento sul valore di targa di 275 millivolt non implica la distruzione del pianeta.
Veniamo adesso alle modalità della prova. Lo schema di base di questa amplificazione è, come abbiamo detto, più che tradizionale e le sue varianti sono state recensite più e più volte. Allo stesso modo, proprio la consuetudine con questo tipo di suono mi ha consentito di ordinare i finali a scatola chiusa. Ascoltati i Mono 120 con le Tannoy DMT 15 e i Mahi con le Tannoy Yorkminster, l’accoppiamento dei 125 con le residenti Tannoy Canterbury non poteva riservarmi grandi sorprese né, se è per questo, suscitare particolari curiosità nei lettori. L’interesse e la ragione della prova consistono invece nella comparazione di un esemplare purosangue di questo tipo di topologia con il suo opposto speculare, e cioè con un monotriodo a riscaldamento diretto in una configurazione fanaticamente single ended. Una verifica empirica, se vogliamo, della celebre polemica su Positive Feedback – Vol. 5, No. 2 e Vol.6, No.1 – fra David Manley e Peter Qvortrup di Audio Note sui meriti e i demeriti delle due diverse soluzioni.
Il single ended però non è opera di Qvortrup ma di Attilio “Tektron” Caccamo, sempre lui... Si tratta del Tektron TK 2A3, un due telai costruito sulle mie specifiche, più esattamente di un telaio stereo con un’alimentazione completamente separata. Il progetto è indirizzato alla massima semplicità circuitale, valorizzata dai trafo di uscita ISO, ex Tango, e dai condensatori di accoppiamento NOS della Siemens, a valle di un massiccio trafo di alimentazione da 350 VA e di una doppietta di rettificatrici della famiglia 5U4. Gli ISO prevedono un’unica uscita a 8 ohm, ottimizzata sulle esigenze delle Canterbury, mentre l’amplificazione vera è propria è tutta a triodi, 6J5/6C5 come driver e 2A3/45 come tubi di potenza.
Veniamo adesso alla catena. La sorgente è il mio fidato CD-pre Nagra CDC, ideale per questo tipo di impiego, perché, oltre ad avere un’impedenza di uscita di appena 50 ohm, permette di scegliere fra due diversi valori del livello di uscita, rispettivamente 1 e 3,5 volt, un’opzione su cui torneremo fra breve. Le casse sono appunto le Canterbury SE, le ultime fatte a Coatbridge: “when will we see your like again” recita opportunamente Flower of Scotland, inno non ufficiale della Scozia…
La sensibilità dichiarata è di 94 dB, con un carico elettrico balzano, dovuto al crossover di secondo ordine a 1.500 Hz e ancor di più alla configurazione Onken variabile. La cablatura di potenza in biwire, civettuolamente intonata alle due diverse elettroniche, è la retrograda Belden 9497 per il Tektron e i brutali Sommercable Elephant SPM440 per i VTL. La cablatura di segnale è la professionale Belden 8402, l’alimentazione dei finali è affidata ai massicci cavi artigianali di Attilio, quella di tutto il resto agli eterni Cablerie d’Eupen, da me a servizio credo da cinque lustri o più.
Qualche parola in più sulle Canterbury che operano in un ambiente di 50-60 mq, molto riflettente, solo parzialmente controllato dalle tapparelle Onken, tenute una chiusa e una aperta, e dai controlli del crossover delle Tannoy, rigorosamente in flat. La posizione di ascolto è a tre metri dalle casse, con livelli acustici quasi mai superiori agli 85 dB e in media compresi fra i 70 e gli 80. In queste condizioni tutti i miei amplificatori sono in grado di controllare, sia pure in modo diverso, i biconici da 15” a bassissima escursione.
La prova comparativa si concentra di conseguenza molto più sulle dinamiche e sulla timbrica che sui livelli di pressione sonora.
E a questo punto parliamo di valvole. Amare esperienze mi hanno convinto che, nelle configurazioni in push-pull, è bene fidarsi, per quanto riguarda le finali, delle valvole, e soprattutto degli accoppiamenti, di fabbrica. Le alternative NOS sono tanto rovinose quanto poco credibili, a meno di miracoli, moltiplicati nel nostro caso per otto. Diverso il discorso, e per costo e per reperibilità, per quel che riguarda le driver, le quali comunque hanno, sempre a mia esperienza, un’influenza molto maggiore sull’ascolto. Perciò, e per mero capriccio, ho sostituito le oneste quanto pedestri JJ con due coppie di 12AT7 Philips/Blackburn, ancora una volta selezionate da Attilio. Non ho sentito cose che voi umani, eccetera eccetera, ma il risultato vale alle mie orecchie la spesa.
Per quanto riguarda il finale custom ho pensato invece di utilizzare un’intera batteria di tubi realmente NOS-NIB militari e precisamente due VT76, versione JAN delle RCA 2A3, due driver VT65, versione JAN delle RCA 6c5 metalliche, e una coppia di travolgenti raddrizzatrici 5693 Sylvania, versione potenziata JAN delle 5U4GB. E scusate se è poco.
Per coerenza infine, ho scelto di utilizzare i VTL solo nella configurazione a triodi, capace comunque di erogare a detta di Luke Manley addirittura 50 watt per canale sui 5 ohm di targa, mentre il mio monotriodo Tektron può forse arrivare a 2 watt complessivi.
Prima di passare al software, una notazione di qualche rilievo. La sensibilità di ingresso dei VTL è di appena 700 millivolt, cioè allineata allo standard professionale, ma molto alta rispetto alla media dei finali americani. Ciò fa sì che, utilizzando il livello di uscita superiore dei CDC, come per comodità faccio, per raggiungere i livelli sonori sopra indicati la corsa del potenziometro Alps del CDC invece di andare dalle ore 10 alle ore 13, come accade con tutti i miei apparecchi, va dalle ore 9 alle ore 12, senza peraltro che si verifichino alterazioni di sorta. Potrei scoperchiare il CDC per settare il livello a un volt, ma mi sembra in fin dei conti un’esagerazione, dal momento che il mio referente reale, oltre alle orecchie, sono i dB registrati dal fonometro.
E adesso il materiale di ascolto, scelto, dato che si tratta di una comparazione, fra incisioni presumibilmente note ai veterani, diciamo così, interessati a questa esperienza. E perciò Joplin Kozmic Blues, il Vespro della Beata Vergine nella mia edizione preferita, quella di Rinaldo Alessandrini, e La Folia di Jordi Savall. È musica capace di suscitare le reazioni emotive che costituiscono, per quel che mi riguarda, l’unico metro utile della cosiddetta alta fedeltà. Non solo, sono anche incisioni, nel loro genere, di riferimento.
Un’ultima, opportuna, segnalazione tecnica. Per quanto riguarda Joplin e Monteverdi il Tektron è lievemente svantaggiato, dato che in genere ascolto queste tracce con l’intervento occasionale del pre Nagra PLP, utile, anche se non indispensabile per corroborare i triodi.
Effettuati gli ascolti nel corso di due pomeriggi, ai livelli acustici più volte ricordati, posso stilare la seguente schedina: Joplin, vince VTL; Savall, vince Tektron; Monteverdi, parità.
Non direi un risultato inaspettato per i primi due dischi: la voce di Janis Joplin è inarrivabile, e realmente commovente con le 2A3, i fiati sono luminosi, ma l’intera sezione ritmica resta, troppo garbatamente, in sottofondo. I VTL ristabiliscono l’equilibrio, danno urgenza alla voce spiegando il suo rapporto propulsivo con la sezione ritmica e ampliano la scena e l’impatto dei fiati. Più corrente uguale più coinvolgimento, in questo
caso un’equazione elementare.
L’opposto speculare con gli strumenti della Folia, le due 2A3 sono insuperabili nella microdinamica e nel dare respiro alla scena sonora. I due quartetti di KT77 privilegiano l’attacco di alcune corde, a scapito però dei tempi di decadenza, e disegnano una soundbox anche troppo granitica. La scomposizione e ricomposizione del segnale amplificato in push-pull si fa sentire, almeno a un orecchio esercitato. Meno valvole uguale più naturalezza, equazione elementare anche questa.
Molto meno scontato il risultato con Monteverdi dove, anche considerando l’handicap inflitto alle 2A3 che abbiamo segnalato, sarebbe stato ragionevole aspettarsi una prevalenza qualitativa dei DHT. E invece no: seppur avvertibilissimo, il portato finale delle due topologie in esame è equivalente ma non interscambiabile. Il diverso peso dato ai vari elementi – citiamo a caso, voce femminile, organo, violino barocco, coro maschile, e chi più ne ha, i brani raccolti nel Vespro sono un’antologia perfetta – non influisce sul valore assoluto dei risultati. Così l’organo immanente dei VTL, la voce femminile angelicata del Tektron, le volte corali dei push-pull e il violino appassionante del single ended si sommano algebricamente, ma ottengono, nonostante l’opinione matematica, due esiti musicali affatto distinti. Ma perfettamente equivalenti, appunto.
Per finire la consueta valutazione del rapporto prezzo/valore. Un confronto a questo riguardo fra i due diversi apparecchi è improponibile, dato che una realizzazione su misura e per di più single ended non appartiene allo stesso universo di vendita di un push-pull di produzione industriale.
Resta allora da definire il rapporto prezzo/valore dei VTL. E qui va obbligatoriamente fatta menzione dei prezzi odierni, trista deiezione di un cane che si morde la coda, di volumi di vendita sempre più in calo, malamente compensati da ricarichi sempre più opportunisti. Non faccio esempi, basta confrontare in rete i listini degli ultimi anni. In questa situazione il rapporto fra il prezzo pagato mesi fa per i VTL e il loro valore è più che positivo. Siamo di fronte al prodotto di un costruttore storico, seppur afono col cliente, distribuito da un’azienda affermata e nel mio caso venduto da un professionista a un prezzo che comprende il servizio, elemento quest’ultimo facilmente e fatalmente trascurato.
Questo dal punto di vista della solidità commerciale, ma dal punto di vista dell’ascolto il fattore da segnalare è la grande flessibilità sonora dei due finali. Come spero di aver spiegato, è possibile ottenere da questi apparecchi una prestazione equivalente a quella di uno specializzatissimo componente custom, pur conservando la possibilità di erogare la corrente necessaria a prestazioni meno idiosincratiche.
Confessione finale: terminate queste righe ho selezionato la gregaria uscita a pentodi degli MB-125 e ho messo a palla – eheu fugaces – la Acid Queen di Tina Turner. Quanno ce vò, ce vò, detto alla Trilussa.
Caratteristiche dichiarate dal produttore: scaricale in PDF qui
Distributore ufficiale Italia: al sito Audio Living Design
Prezzo Italia alla data della recensione: 12.280,00 euro la coppia
Sistema utilizzato: vedi articolo