NdR | Non ci siamo bevuti il cervello, ancora non del tutto almeno. La traduzione di Airbearing Turntable System è “sistema di giradischi a cuscino d’aria”. È una descrizione di prodotto, non un nome, e quella abbiamo tenuto, dato che il modello in questione non ha un vero nome proprio, nemmeno una semplice sigla. Insomma, presentarlo banalmente come “giradischi Holbo” ci sembrava un poco riduttivo…
Vorrei iniziare questa prova in un modo che per me è insolito: mettendo le mani avanti. La questione è che, pur con la massima modestia e il massimo rispetto per chi li progetta, io di giradischi ne so abbastanza. Si tratta di una conoscenza che deriva dalla passione e da anni di esperienza: sono più di quarant’anni che maneggio giradischi... Li colleziono, ne ho una ventina, li smonto, li riparo, li taro e li provo per le riviste per cui ho scritto e scrivo. Insomma, so come sono fatti e come funzionano.
Fatta la premessa, ora ecco i tre minuti di noia con cui incomincio sempre i miei articoli. Scusatemi di nuovo in anticipo e se non volete sorbirla sentitevi liberi di girare la rotellina del mouse.
Fino a poco tempo fa, ma a dire il vero anche oggi, molti audiofili sostenevano/sostengono che il suono del disco in vinile era/è migliore di quello dei file digitali in qualsiasi forma fruibili, che siano CD, file su computer o in rete.
Personalmente non sono d’accordo. O, detto meglio, non sono d’accordo in questi termini assoluti. Soprattutto dopo quarant’anni di musica digitale. All’inizio, quando fu introdotto, era facile mettere a confronto un compact disc e l’equivalente in vinile e buttare il primo dopo pochi secondi di ascolto. La causa era che i fonici, i tecnici negli studi di registrazione e nelle fabbriche che incidevano i dischi, avevano anni e anni di esperienza su come far suonare bene un LP e praticamente zero per fare la stessa cosa con un CD. Quello che era inciso nei master, a valle del mixing e dell’editing, andava bene per compensare i difetti dell’incisione analogica ma non faceva nulla per i difetti, diversi, della versione digitale. Ovviamente col tempo le cose sono cambiate e i CD sono molto migliorati ma ancora quest’anno un buon vinile attira maggiormente l’acquirente – vedi qui – e oggi, in un momento in cui non ci sono più fonici esperti di incisione analogica mentre ce ne sono tanti molto bravi per il digitale, il vinile non è defunto e, anzi, tra i supporti materiali, è quello che sta meglio, tanto che le vendite del vinile hanno superato quelle del CD per la prima volta dal 1980 – vedi ancora qui. Perché? Perché i suoi difetti lo fanno suonare più piacevolmente di una versione tecnicamente impeccabile.
Ecco il mio pensiero: il vinile non suona necessariamente meglio ma è più piacevole. Quali sono i motivi di questo? Molti, alcuni tecnici e altri psicologici. Per mettere le informazioni musicali dentro i microsolchi occorre equalizzare, comprimere e manipolare il segnale, specie alle basse frequenze. Il segnale stereo originale, quello tanto sognato dagli audiofili che ancora oggi cercano i nastri master ad alta velocità, fisicamente non ci può stare. L’equalizzazione, o enfasi, è oramai da moltissimi anni uno standard de facto – RIAA e altre, vedi qui – e questo comporta che serve un preamplificatore in grado di fare il lavoro opposto. E al di là delle chiacchiere circa la linearità della risposta in frequenza, della distorsione delle armoniche pari e dispari, della saturazione dello stadio di ingresso alle alte frequenze e così via, il preamplificatore qualcosa la fa. E i progettisti più bravi gli fanno fare qualcosa di piacevole all’orecchio.
Altro argomento noto: per poter essere inciso in un vinile, il segnale deve essere compresso, questo significa che nella riproduzione i passaggi più “bassi”, nel senso del volume, suoneranno, a parità di livello medio d'ascolto, più "forte" di quanto non facessero “prima della compressione”, oppure, e qui sta il punto, di quanto non facciano in un master con una gamma dinamica meno compressa, com’è quello destinato alla versione digitale. Quindi, anche qui si avrà, almeno di primo acchito, una sensazione di maggiore risoluzione dei dettagli. Il perché è ovvio: semplicemente suonano più “forte”.
Tralasciamo il discorso sugli altri accorgimenti necessari per incidere per un vinile – vedi qui giusto un accenno per i più curiosi – e sorvoliamo pure sul fatto che il disco è più bello e piacevole come oggetto in sé. Vuoi mettere una bella copertina di trenta centimetri di lato ricca di informazioni contro l’inconsistenza di un file in rete di cui a malapena riesci a capire il titolo sul display? Infine, citiamo solo en passant il fatto, psicologicamente coinvolgente, che il disco richieda un impegno personale: la cura con cui lo si deve togliere dalla sua busta, senza toccare i microsolchi, metterlo sul piatto e posizionare attentamente il braccetto. Quasi un rito, paganamente ripagato con un suono più pieno e piacevole.
Parliamo invece della parte “fisica” del sistema. La trasduzione è meccanica, i microsolchi fanno vibrare lo stilo e questo produce un suono, e stiamo parlando di vibrazioni indotte da spostamenti minimi: vedi qui, dovete scendere un po’ nella descrizione fin dove si parla delle dimensioni degli stili e dei solchi. In questo contesto fare un buon giradischi è costoso, complicato e difficilmente il risultato sarà stabile nel tempo. Gli audiofili amano sostenere che del giradischi “suona” tutto: il mobile, il tipo di sospensione, il piatto, il mat o feltrino, i clamp, il braccio, la testina. Tutto vero. Confermo.
Quindi sto dicendo che è un sistema “vecchio”, sensibile e delicato, dove i problemi e i difetti abbondano. Le vibrazioni spurie, da dovunque vengano, sono un nemico quasi invincibile. La polvere e la carica elettrostatica che la fa incollare ai dischi sono due maledizioni di cui è difficile trovare l’incantesimo riparatore. I dischi si usurano e occupano un sacco di spazio. E poi c’è il peccato originale, il più grande, quello che dice che in questo sistema, al di là di tuto quello detto in precedenza, è anche praticamente impossibile riprodurre il segnale musicale così com’è stato registrato perché la macchina che incide è diversa da quella che riproduce. Sto parlando dell’errore di tangenza e dei danni che provoca – vedi qui.
Detto tutto questo, allora perché ha ancora senso parlare, costruire e comprare giradischi? Ha tanto senso, e qui la mia è ancora una volta un’opinione, perché nonostante tutto un giradischi ben costruito, ben installato, tarato alla perfezione e inserito in un impianto di grande pregio suonerà in un modo stupefacente e non sarà difficile trovare chi lo preferirà al suono digitale.

Bene, abbiamo riassunto molto velocemente il perché stiamo facendo questa prova e, venendo finalmente allo specifico oggetto in questione, posso tranquillamente affermare che il giradischi Holbo Airbearing Turntable System, proveniente dalla vicina Slovenia, è uno dei meglio suonanti che mi sia mai capitato di ascoltare e, come detto in apertura, quelli ascoltati se non posseduti non sono stati pochi.
Poiché sono convinto che sia importante sapere chi sono le persone dietro le cose, ho voluto conoscere Bostjan Holst, il fondatore e progettista. Abbiamo semplicemente comunicato per email, ma è stato sufficiente per capire che è un gran appassionato di musica sinfonica, che trent’anni fa costruì, per sé, il primo giradischi e che dopo altri dieci progettò e costruì quello che, attraverso continui affinamenti è il modello che stiamo provando.
Due cose devo dirle subito, la prima è che non c’è di più complicato di riprodurre la musica sinfonica e quindi se dovessi scegliere un progettista solo in base ai suoi gusti musicali non avrei dubbi. Non parlo di gusti, a me la sinfonica nemmeno piace tanto, ma di difficoltà tecnica nella sua riproduzione domestica. La seconda è che questo giradischi, il “suo” giradischi, il solo e unico prodotto a catalogo Holbo, è geniale. Lo è nella filosofia ma lo è soprattutto nelle scelte, che lo rendono semplice ma, musicalmente parlando, micidiale.

Esaminiamolo nel dettaglio. Il giradischi è a telaio rigido, una tavola di 3 cm di spessore in MDF finemente verniciata, che poggia su tre grossi piedi in materiale plastico regolabili e dotati di una punta metallica: attenzione quindi a dove lo posate, anche per un attimo. A corredo ci sono tre sottopunte con un leggero incavo al centro. L’alimentazione è esterna, semplice ma ben fatta e produce 12 volt CC stabilizzati. Sul retro, accanto al connettore di alimentazione, c’è un interruttore che commuta la velocità di rotazione tra 33 e 45 giri e due potenziometri a vite che ne permettono la regolazione fine. Fino a qui niente di trascendentale, anche se potrei sottolineare il piatto in lega di alluminio del peso di 5 kg e il perno centrale di oltre 2 kg, quindi una bella massa con tanto momento di inerzia da rendere la velocità precisa e accurata rispetto alla piccolissima forza che l’attrito dello stilo nel solco provoca.

Il segreto non sta qui, anzi, per certi versi queste parti potrebbero essere anche essere addirittura più raffinate, ma a che costo? La vera forza di questo giradischi sta nel suo braccio tangenziale con sospensione ad aria, sia dell’articolazione del braccio che nel cuscinetto del perno del piatto. Infatti, sul retro c’è un piccolo connettore che serve a portare nel giradischi, attraverso un lungo tubicino, l’aria prodotta da un compressore elettrico esterno. Il tubicino è abbastanza lungo da poter mettere la pompa lontano e comunque questa è talmente silenziosa da non dare alcun fastidio. Una volta accesa, il braccio e il piatto, sono liberi di muoversi.
I vantaggi di queste soluzioni sono oggettivi. Il braccio tangenziale azzera la distorsione di tracciamento e la sospensione ad aria elimina il contatto fisico tra le parti, riducendo praticamente a zero l’attrito e il conseguente rumore meccanico e l’usura. Le due cose non possono essere separate, vedremo perché, anche se dal punto di vista musicale è sicuramente il braccio tangenziale a dare il maggiore apporto al risultato finale.
Provo a spiegarmi. Il braccio tangenziale è una soluzione “antica”. Quando mi sono avvicinato all’alta fedeltà – e sono passati un po’ più di cinquant’anni – il braccio che volevo comprare era il Rabco SL-8E – e ora ne ho due – che prometteva di suonare in modo superiore grazie alla lettura tangenziale, che veniva chiamata linear tracking. Il movimento lineare era generato da un motorino elettrico, la “E” nella sigla, che trascinava il carrello che conteneva la sospensione cardanica del corto braccio vero e proprio. Non dico questo per fare altra storia ma per spiegare che il braccio tangenziale può essere realizzato in diversi modi. Semplificando però ci possiamo limitare a due tipologie. Una è quella tipo Rabco, cioè dove il movimento lineare che consente allo stilo di lettura di rimanere, più o meno, sempre tangente al microsolco. Questo è realizzato con un motore governato da sensori che rilevano, appunto, l’errore di tangenza e spostano il fulcro del braccio – che, è importante, è libero di ruotare sul piano verticale e su quello orizzontale – in una posizione diversa dove viene ripristinata la corretta angolazione. Il secondo e più difficile da ottenere è quello in cui il movimento orizzontale del braccetto e causato, come nei normali bracci imperniati, solo dal trascinamento da parte dello stilo. tutto il braccio si sposta, non ruoterà su un perno, come avviene nei bracci “normali”, verrà invece trascinato lungo una retta parallela a un raggio del disco.
Nel primo caso abbiamo che l’intero sistema di controllo e trascinamento è complicato da fare: servono sensori che rilevino in tempo reale lo scostamento orizzontale, dei servo meccanismi che movimentino il “castello” che sostiene il braccio e dei motori silenziosi e dei cuscinetti a basso attrito che consentano lo spostamento senza rumore e senza generare forze contrapposte. Inoltre, in questo caso, l’errore di tangenza viene corretto “ogni tanto” e lo zero è solo una media. Il braccio si sposta quando un sensore rileva un angolo di tangenza "sbagliato" e lo spostamento lo corregge o sovracompensa, ma dopo rimane fermo fino a quando non si supera nuovamente il limite consentito. Un tracciamento continuo e uniforme, cioè con una correzione costante, è più difficile da ottenere e soprattutto da garantire nel tempo senza continue tarature.
Cosa che invece non accade nella seconda soluzione, quella per così dire “passiva”. Qui l’errore è sempre azzerato, almeno nei limiti delle tolleranze di costruzione e montaggio. Infatti, il braccio non ha il perno che consente la rotazione sul piano orizzontale e quindi il suo angolo di tangenza è costante e virtualmente vicino allo zero. Quindi questa soluzione è migliore, ma ci sono altri problemi da risolvere, questa volta puramente meccanici. Occorre una struttura con una massa tanto ridotta e un attrito così basso da consentire che lo spostamento lineare di tutto il braccio, parliamo di più di dieci centimetri, sia possibile senza il minimo sforzo. Senza, cioè, che il cantilever, che in effetti è il tramite della forza traente, si pieghi da un lato, vanificando la correzione dell’errore di tangenza e, peggio, rovinando la capacità del fonorilevatore di tracciare al meglio. Servono quindi uno scorrimento senza attrito e una ridotta massa da muovere, anche se, una volta iniziato il movimento, questo parametro è meno critico. Qui la tecnica della sospensione ad aria o del cuscinetto ad aria compressa, come preferite chiamarla, entra in gioco ed è risolutiva. Spero che le figure qui sotto aiutino a capire.

Le complicazioni e il costo per risolvere le problematiche che ho descritto spiegano perché una soluzione tanto vantaggiosa all’ascolto sia invece tanto difficile da trovare. I diversi tentativi fatti per risparmiare sulla realizzazione non hanno sempre funzionato, almeno non nel lungo periodo. Ho avuto a che fare con più di una dozzina di giradischi tangenziali di varie marche e prezzi e due di essi avevano la sospensione ad aria. Di tutti questi posso dire che solo il Vyger è oggi in produzione, fortunatamente, e che il più longevo tra quelli non più prodotti è lo straordinariamente ben costruito Goldmund Studio, di cui qui sotto trovate due foto, il meccanismo di trascinamento e il sensore di un esemplare perfettamente funzionante.

Quindi cosa ha fatto Bostjan Holtst alias Holbo di speciale? Ha avuto un’idea e l’ha perfezionata, sempre nella stessa direzione, fino a renderla semplice, realizzabile, stabile, e, nei limiti dei costi degli apparecchi Hi-End, persino conveniente. Non voglio essere frainteso e non voglio dare una patente di unicità. Cercando si possono trovare altri giradischi simili, ma questo viene costruito in Europa da molti anni, ha un listino al pubblico, ho parlato con il progettista e con l’importatore e lo sto provando. So come va per esperienza diretta. E va benissimo.
L’ascolto critico di un giradischi è una cosa complicata, per farlo suonare al massimo delle sue possibilità occorre montarlo alla perfezione e, per poterlo confrontare con altri, bisogna essere sicuri di avere tutte le condizioni al contorno sotto controllo. Anche montare la stessa testina su due giradischi diversi potrebbe portare a giudizi scorretti: infatti alcune testine suonano meglio con un certo braccio piuttosto che con un altro. In più, visto che è impegnativo affermare che una cosa suoni meglio di qualsiasi altra fin qui provata, ho voluto per scrupolo ripetere gli ascolti più e più volte e montare anche altri giradischi per essere sicuro, compreso uno con un braccio da 12” che come sappiamo diminuisce l’errore di tangenza. In ogni ascolto effettuato c’è stata una caratteristica costante e ripetibile. Il suono dell’Holbo è più dettagliato, gli alti sono più puliti e presenti e l’immagine tridimensionale è più nitida, solida e stabile. Non è una sensazione che si manifesta in modo casuale, è una costante e non è nemmeno difficile sentirla, l’hanno confermata tutti quelli a cui ho chiesto un parere.
Normalmente quando provo un apparecchio non leggo le altre recensioni. Non ho fatto eccezioni questa volta, ma è impossibile essere del tutto isolati e quindi una cosa l’ho letta e vorrei dire la mia. Ascoltando questo giradischi potreste pensare che il suo equilibrio è spostato verso il medio e l’acuto, che riproduce in modo eccellente, mentre di converso potreste anche concludere che la gamma bassa sia eccessivamente asciutta o addirittura attenuata. Due dei miei giradischi a confronto, entrambi con sospensione a molle, davano questa impressione. Però non è così. Facendo molta attenzione si scopre che le frequenze più basse sono anch’esse riprodotte meglio con il giradischi che sto provando: sono più articolate e controllate, ma anche profonde e al giusto livello. È invece l’equilibrio che cambia, dove il suono sembra più caldo e piacevole è la mancanza della trasparenza e la perdita del dettaglio musicale a far sembrare che ci siano più bassi mentre la verità è il contrario.
Un altro fenomeno interessante, e anche questo comprensibile, è che questa differenza, questo “suonare meglio”, diventa più evidente nell’ultimo brano del LP, quello più vicino al centro. Come spiegato in uno dei link precedenti, quello dell’articolo sulla dima, succede che all’interno del disco, vicino all’etichetta, la distorsione di tracciamento diventi maggiore e l’effetto dell’errore di tangenza più fastidioso. Questa cosa ovviamente non succede con i bracci tangenziali “passivi” e, nello specifico, non accade con l’Holbo.
Per la prova di ascolto ho utilizzato moltissimi dischi della mia collezione e ne sono andato a comprare di nuovi. Questa cosa mi ha riportato indietro di anni, quando il giradischi era l’unica sorgente veramente Hi-Fi, se si escludevano gli open reel a due tracce e alta velocità, che però non aveva quasi nessuno: io il mio l’ho dato via per disperazione, non avevo i nastri master originali e si rompeva sempre. In queste settimane le mie sorgenti digitali sono state dimenticate e ho passato ore a sentire i dischi che avevo lasciato da parte. Ogni volta non potevo fare altro che constatare, per l’ennesima volta, come il suono del tangenziale – almeno di “questo” tangenziale – fosse migliore. Al confronto, ogni giradischi a braccio imperniato risulta “impastato”: non trovo un termine più adatto.
L’ultima considerazione riguarda la compatibilità con diversi tipi di testine. Il braccio dell’Holbo è a bassa massa effettiva: 7,5 g sul piano verticale. Questo lo rende perfetto per fonorilevatori con alta capacità di tracciamento, tipicamente quelli con peso di lettura inferiore al grammo e mezzo. Non è una limitazione ma un vantaggio: la massa si può sempre aumentare mentre è impossibile diminuirla. Tanto è vero che il risultato migliore l’ho ottenuto con la mia Spectral MCR Signature, una MC a media uscita molto usata e quindi ben rodata, che legge a 1,7 grammi. Holbo fornisce, come accessorio a richiesta, un contrappeso maggiorato, proprio per far fronte a eventuali idiosincrasie con testine più dure e pesanti, oppure per consentire agli appassionati di aggiungere qualche grammo in testa allo shell per abbassare di qualche hertz la risonanza del sistema braccio-cantilever. Ultimissima cosa, il VTA - Vertical Tracking Angle è regolabile durante l’ascolto. Una bella caratteristica in più e vincente sul piano della compatibilità.
Quindi l’Holbo è un giradischi eccellente di cui mi sono innamorato fino al punto di acquistarlo. Tuttavia, ci sono alcune cose che non voglio tralasciare di dire. Non è semplice da mettere in opera, richiede tempo e ricerca della perfezione. Il manuale, sintetico ma chiaro e completo, lo dice chiaramente, anzi suggerisce addirittura l’utilizzo di un disco di prova e di un oscilloscopio per regolare l’azimut, ma obiettivamente ci si può pure fermare prima. Vero è che, per avere la qualità di ascolto che vi ho illustrato, non ci si può accontentare di un setup raffazzonato, quindi il prendersi tempo è una cosa da mettere in conto, perché è necessaria. La geometria del braccio deve essere curata alla perfezione: la posizione longitudinale deve essere tale da posizionare lo stilo esattamente al centro del piatto, peccato però che il braccio non ci arrivi e quindi occorre faticare non poco con la dima in dotazione; il “tubo” di supporto che permette lo scorrimento del manicotto del braccio deve essere perfettamente orizzontale, questo è cruciale; l’altezza del braccio rispetto alla superficie del disco deve essere regolata con ancora più attenzione, perché è corto e quindi gli errori si ampliano; e, non per ultimo, la struttura rigida del giradischi richiede, anzi pretende, un mobile che lo isoli al meglio dal pavimento. Inoltre, occorre anche fare attenzione a dove lo si mette rispetto ai diffusori. Ci aggiungerei anche una certa difficoltà a scaricare la carica elettrostatica che si accumula sui dischi e che però si cura facilmente semplicemente mantenendo l’ambiente di casa meglio umidificato – ma non solo per il giradischi, per noi stessi – e al limite installare un braccetto dotato di pennellino antistatico che scarichi a massa le cariche elettrostatiche, un accessorio indispensabile per chi ama i dischi in vinile.
Ci sarebbero ancora cose da dire, ma, tutto sommato, spero che vi siate fatti un’idea abbastanza precisa del valore dell’oggetto. Richiede tempo e pazienza per essere messo a punto ma poi ripaga con un suono allo stato dell’arte. Quindi come chiudere questa prova? Direi semplicemente così: rispolverate i vostri dischi.
Caratteristiche dichiarate dal produttore
Piatto
Motore DC controllato elettronicamente
Piatto in alluminio 5kg
Cuscinetto d’aria 2,16kg
Dimensioni: 430x150x400mm LxAxP
Peso totale: 12kg
Braccio
Braccio tangenziale su cuscinetto d’aria
Lega di alluminio e fibra di carbonio
Lunghezza effettiva 163mm
Massa verticale effettiva 7,5g
Massa totale del braccio 31,6g
Cablaggio in argento/rame Litz
Alimentatore separato
Alimentazione: 110/240V 50/60Hz
Consumo: 2W
Dimensioni: 92x58x142mm LxAxP
Compressore separato
Consumo: 10W
Dimensioni: 147x120x225mm LxAxP
Peso: 1,8kg
Distributore ufficiale Italia: al sito Tedes
Prezzo Italia alla data della recensione: 6.500,00 euro
Sistema utilizzato: all'impianto di Maurizio Fava