Venezia, 1851, Teatro La Fenice. Giuseppe Verdi è ormai famoso in Italia e in Europa, sembra quasi un pendolare di lusso: La Scala di Milano, La Fenice di Venezia, il San Carlo di Napoli, Firenze, Trieste e poi Parigi e il Her Majesty’s Theatre di Londra.
Se consideriamo il periodo storico sono passati tre anni dai moti del ’48 e tra dieci anni è il 1861, nascerà l’Italia.
Verdi è l’interprete musicale del Risorgimento italiano. No, Verdi non è un rivoluzionario, almeno non come potremmo intenderlo nel senso attuale del termine. Verdi è un uomo del Risorgimento e del Romanticismo, è nato nel 1813 e madame De Staël pubblica nel 1816 l'articolo Sulla maniera e l'utilità delle traduzioni e nel 1818 nasce il Conciliatore, un periodico milanese che divenne portavoce delle nuove idee letterarie e manifesto dei romantici. Verdi è un uomo con il fuoco dentro che chiede di riconoscere ed elevare la cultura popolare, quella vera e sincera, consapevole dell’identità e della coscienza sociale e politica raggiunta dal ceto più povero e dallo strato più basso, quindi molto lontana da quella affettata e adulatrice delle corti europee.
Il dramma è la forma letteraria scelta da Verdi per divulgare la sofferenza, il sacrificio e il risentimento popolare. Sceglie sempre personaggi normali, sconosciuti, popolari appunto ma in grado di emozionare, sconvolgere e coinvolgere nelle narrazioni intime e profonde.
Il Rigoletto è il primo di quella che viene definita trilogia popolare che comprende Il Trovatore e La Traviata capolavori ai quali Verdi fu, per varie vicissitudini, costretto a lavorarci contemporaneamente. Popolare è un aggettivo corretto in considerazione dell’epoca a cui fa riferimento, ma per essere meglio compreso ritengo che sia più adatto l’aggettivo democratico. Democratico nel senso stretto del termine, vale a dire "governato dal popolo". Il compositore sentiva forte il desiderio di avvicinare la cultura e la musica al popolo inteso come identità sociale non più ignorante e insensibile ma democraticamente consapevole e in grado di dare forma e dignità all’Italia e al popolo italiano. Da lì a pochi anni nei teatri dove venivano rappresentate le opere del Cigno di Busseto verranno lanciati dalle piccionaie i volantini con scritto VIVA VERDI, dove VERDI voleva dire Vittorio Emanuele Re D’Italia, il monarca illuminato in grado di rappresentare l’unità d’Italia.
Pur consapevole di dover subire la censura asburgica del Governatore militare di Venezia, Verdi scelse insieme al segretario della Fenice Guglielmo Brema e al librettista Francesco Maria Piave un soggetto che si ispirasse a Le Roi s’amuse, dramma storico di Victor Hugo. La mannaia del Governatore, come previsto, calò negando il visto definendo quest’opera "di una ributtante immoralità e oscena trivialità". In pratica mal veniva tollerato un protagonista che fosse un buffone gobbo, ribelle e sarcastico nei confronti della nobiltà disegnata molle e lasciva, un sovrano dissoluto e una figlia del protagonista agonizzante in un sacco e quasi suicida. L’opera ebbe il visto autorizzativo solo dopo che fu trasferita l’azione dalla corte di Francia a una signoria italiana, che Francesco I fu sostituito da un fantasioso duca di Mantova e che il nome del protagonista fu cambiato da Triboletto in Rigoletto. Da notare che l’opera di V. Hugo fu rappresentata integralmente a Parigi nel 1832!
Finalmente l’11 Marzo 1851 il Rigoletto di Verdi andò in scena con un esito a dir poco trionfale, tanto che la rappresentazione venne più volte interrotta dalle ovazioni tanto che si dovettero ripetere più volte le arie più intense dell’opera. La "popolarità" del Rigoletto esplode nell’animo degli italiani che vedono nel racconto il dramma di una Italia ancora da fare, combattuta tra oppressione e desiderio di vendetta. Verdi suo malgrado, o forse no, è rivoluzionario: Rigoletto, il protagonista, è un essere deforme e umile, ma anche beffardo e malvagio, è anche padre amorevole e uomo vendicativo. Tra l’altro non è usuale utilizzare un baritono nel ruolo del protagonista relegando tenore e soprano a figure di contorno. Non manca qualche scivolone di stile, come quello di chiamare Maddalena la lasciva sorella di Sparafucile. Verdi è comunque rivoluzionario nella stesura musicale descrivendo il Duca con minuetti banali e la corte fatua e corrotta con arie futili e monotone.
Ma l’aspetto che maggiormente emerge è che il Rigoletto è "l’opera prima" che rappresenta Verdi come autore in grado di coniugare parole e musica in un unicum che rende il dramma emotivamente travolgente ed eccitante. Nel Rigoletto parole e musica hanno lo stesso peso, si sorreggono a vicenda e autoalimentano la forza narrativa in una semplice, ma difficile da raggiungere, eleganza grafica che trascina nell’eccitazione. Notate l’incipit strumentale dell’opera, affidato alle trombe che preludono alla maledizione, strutturato in un complesso giro armonico che però viene bruscamente interrotto dal chiassoso e disordinato intervento della banda dei cortigiani del Duca. La geniale e rivoluzionaria macchina operistica di Giuseppe Verdi ha inizio.
La Trama
Atto primo – Il Duca di Mantova – tenore – si vanta delle sue conquiste amorose e confida ad un cortigiano di essersi invaghito di una misteriosa fanciulla che spesso incontra in chiesa. Questo però non gli impedisce di corteggiare l’affascinate contessa di Ceprano: "questa o quella per me pari son…" in presenza del marito il quale viene per questo continuamente sbeffeggiato da Rigoletto – baritono – che giunge persino a consigliare il Duca di eliminarlo. Le continue sfrontate provocazioni del gobbo Rigoletto irritano i cortigiano che meditano di punirlo, l’occasione viene offerta dalla notizia che Rigoletto nasconderebbe in casa propria un’amante segreta. Durante la festa, giunge il vecchio Conte di Montarone – basso – che accusa il Duca di avergli sedotto la figlia. Rigoletto con il suo sarcasmo non perde l’occasione di irretire anche il Conte di Montarone che viene arrestato in seguito ad una pesante maledizione lanciata su di lui e sul Duca: "… e tu serpente, tu che d’un padre ridi al dolore, sii maledetto… ". Rigoletto rimane profondamente turbato da questa maledizione come preso da un sinistro presagio.
Rigoletto incontra Sparafucile, il sicario di professione – basso – che gli offre i propri servigi avendo saputo che la giovane che vive con Rigoletto veniva corteggiata da qualcuno. Rigoletto rifiuta ma si informa dove poterlo rintracciare, Sparafucile gli indica una locanda sulle rive del Mincio dove, attirati da Maddalena l’avvenente sorella, egli sopprime le sue vittime. Rigoletto rientra a casa con ancora nell’animo le parole di Sparafucile e l’esecrazione del Conte di Montarone meditando sulla propria lingua come strumento di vendetta: "quel vecchio maledivami!... pari siamo!... io la lingua, egli ha il pugnale" e incontra abbracciandola Gilda – soprano – che non è la sua amante ma sua figlia, natagli da un amore giovanile che, per paura delle invettive dei cortigiani, tiene ben nascosta permettendole solo di andare in chiesa accompagnata dalla fida domestica Giovanna – mezzo soprano – "veglia, o donna, questo fiore… ". Quando tuttavia Rigoletto se ne va, il Duca, che proprio con la complicità di Giovanna si era introdotto in casa, si presenta a Gilda, che ora sa essere figlia di Rigoletto, fingendosi uno studente innamorato: "… è il sol dell’anima, la vita è amore…". Costretto dall’avvicinarsi di qualcuno, il Duca deve allontanarsi non prima di accertarsi di essere ricambiato da Gilda che si abbandona ai palpiti d’amore: "Gualtier Maldè… caro nome…".
Rigoletto lungo la strada s’imbatte nei cortigiani che, armati e mascherati, gli fanno credere di voler rapire la moglie del Conte di Ceprano, mentre la loro intenzione è di rapire quella che credono essere l’amante di Rigoletto il quale, ignaro, si offre anche di aiutarli nell’impresa. Rigoletto viene bendato e ignaro regge anche la scala per far introdurre nella propria casa i cortigiani che rapiscono Gilda: "… zitti, zitti, muoviamo a vendetta…". Troppo tardi si accorge della crudele beffa di cui è stato vittima: la maledizione di Montarone si sta abbattendo su di lui.
Atto secondo – Il Duca, rientrato a palazzo dopo essere stato a casa di Gilda non trovandola, è preoccupato per la sua sorte e scopre di nutrire nei suoi confronti un sincero sentimento: "… parmi veder le lacrime…". I cortigiani lo informano di aver rapito l’amante di Rigoletto, in tal modo il Duca scopre peraltro che costoro hanno scambiato la figlia Gilda per l’amante, e saputo che è stata nascosta a palazzo decide di andarla a consolare: "… possente amor mi chiama…". Sopraggiunge intanto Rigoletto che, fingendo indifferenza nei confronti dei cortigiani, tenta di sapere dove sia stata nascosta la figlia, alla fine scopre che Gilda è a palazzo ed è tra le braccia del Duca che tenta di raggiungere, ma i cortigiani glielo impediscono. Rigoletto è costretto così a rivelare ai cortigiani il suo segreto e li scongiura di dar termine alla beffa: "… cortigiani, vil razza dannata…". Sopraggiunge Gilda, piangente di vergogna, che confessa al padre angosciato il suo dramma e come nacque in lei la passione per il giovane conosciuto che ora sa trattarsi del Duca: "… tutte le feste al tempio… Ah! Solo per me l’infamia… ". Pur colpita dall’oltraggioso inganno, invoca il perdono del padre, ma Rigoletto giura di vendicarsi: "Sì, vendetta, tremenda vendetta…".
Atto terzo – Davanti all’osteria di Sparafucile e sua sorella Maddalena, di notte. Rigoletto vuole dimostrare alla figlia che il Duca non la ama, infatti sopraggiunge il Duca attratto dall’avvenente Maddalena: "… la donna è mobile…". Mentre il Duca si apparta con Maddalena, "Bella figlia dell’amore…", Sparafucile si accorda con Rigoletto che lo ingaggia per l’assassinio del Duca, tornerà dopo a prendere il corpo. Rigoletto ordina a Gilda di vestirsi da uomo e fuggire a Verona. Maddalena però si è invaghita del Duca: "… è amabile invero, cotal giovanotto…" e prega il fratello di non ucciderlo. I due si accordano allora di uccidere il primo passante che bussa all’osteria e consegnare in un sacco chiuso il cadavere dello sconosciuto a Rigoletto che di lì a poco sarebbe giunto per ritirare il cadavere per gettarlo nel Mincio. Gilda, ritornata presso l’osteria vestita da uomo, sente tutto e decide di sacrificarsi per salvare la vita del Duca, bussa alla porta e, non riconosciuta, viene pugnalata da Sparafucile. A mezzanotte sopraggiunge Rigoletto che riceve il sacco chiuso da Sparafucile, mentre si allontana sente però la voce del Duca, allora, sorpreso e inorridito, apre il sacco e scopre Gilda agonizzante che chiede perdono: "… v’ho ingannato… colpevole fui…" e le muore tra le braccia. Rigoletto, straziato dal dolore e dal rimorso, urla disperato: "… egli è la!... chi mi chiama?... lassù in cielo…". La maledizione di Montarone si è avverata.
I grandi interpreti del Rigoletto
La prima interprete di Gilda all’esordio veneziano del Rigoletto nel 1851 fu Teresa Brambilla. Verdi però desiderava farla interpretare da Erminia Frezzolini che aveva già interpretato in modo eccellente i Lombardi e Giovanna D’Arco. La Frezzolini però era impegnata e Verdi preferì la Brambilla alla Teresa De Giuli e alla Virginia Boccabadati.
Teresa Brambilla era un soprano con vocalità limpide, agili e fioriture purissime. Aveva già affrontato le opere di Bellini e di Donizzetti e era degna rappresentate della scuola del Bel Canto del primo ottocento. Successivamente, oltre le già citate Frezzolini e De Giuli, sono da ricordare come interpreti di Gilda durante l’ottocento Luigia Bendazzi, Lillian Nordica, Gabrielle Krauss, Marcella Sembrich, Emma Albani, Adelina Patti e la celeberrima Nellie Melba, nome d’arte di Helen Porter Mitchell. Inteprete del Duca di Mantova alla Fenice non poteva non essere che il tenore Raffaele Mirate, grande interprete di quasi tutto il repertorio verdiano, ma anche interprete in assoluto del nuovo ruolo e della nuova vocalità che doveva essere nelle corde del tenore moderno, allontanandosi dalle vocalità rossiniane, dato che Rossini utilizzava spesso voci femminili al posto dei tenori, per avvicinarsi a quelle romantiche. Fra gli altri grandi tenori dell’ottocento possono essere citati Carlo Boucardè, Julian Gayarre, Ludovico Graziani, Francesco Marconi e, tra il 1896 e i primi vent’anni del ‘900, il grande Enrico Caruso.
Nel ruolo che è ritenuto uno dei più complessi del repertorio baritonale, vale a dire Rigoletto, deve essere senz’altro ricordato Felice Varesi, strepitoso artista, forse il migliore dell’ottocento, a seguire nomi noti e importanti come Gaetano Ferri, Giovanni Corsi, Giorgio Ronconi, Enrico Delle Sedie solo per citarne alcuni.
Le registrazioni audiofile
Non sono molte, il Rigoletto non è considerato un "grande" classico delle opere come l’Aida. Suggerisco comunque:
LP
RCA-LIVING STEREO LSC-7027, doppio: Il Rigoletto
RCA-LIVING STEREO LSC-2837: Hilights from Rigoletto
Mercury SR90273-5, SR3-9012 triplo: Rigoletto, opera completa
CD
Sony 88697910052, 1964: Rigoletto
London Decca CD ADD 0289 440 2422 7 LF 2: Rigoletto
Deutsche Grammophon CD ADD 0289 457 7532 6 GOR 2: Rigoletto
Philips DVD 5099964186894: Rigoletto