Julius Rodriguez | Evergreen

04.10.2024

I tempi cambiano così velocemente che alle volte è complicato stare al passo. Prendiamo atto di essere continuamente stimolati da novità musicali che provengono ormai da ogni parte del mondo. Se una volta era relativamente facile memorizzare nomi, titoli, singoli brani e interi album, oggi tutto questo diventa quasi impossibile, dato l'elevato numero di proposte che ci giungono sempre più frequentemente da ogni angolo del pianeta. E forse, in tutto questo arrancare, anche l'età ci mette lo zampino. Prendiamo ad esempio il caso piuttosto emblematico di Julius Rodriguez, newyorkese di venticinque anni. Personalmente ne ignoravo l'esistenza e inizialmente avevo pensato al suo album Evergreen come a un lavoro d'esordio. Quasi sconosciuto ai più, escludendo una schiera di musicisti importanti ma piuttosto ristretta con i quali ha collaborato offrendo le proprie, indiscusse competenze strumentali, vengo a scoprire che questo giovane musicista è in realtà al suo secondo disco e che un'etichetta importante come la Verve sta puntando su di lui.

 

Con un padre appassionato di musica jazz, studi privati alle spalle e l'abbandono dopo un paio d'anni di corso alla Julliard School per andare in tournée con il rapper ASAP Rocky, l'eclettico polistrumentista arriva ora a questo album. Rodriguez, in effetti, è un artista versatile, una specie di “ausiliario” della musica, come lo ha definito Meshell Ndegeocello, descrivendolo come un “turnista di lusso” in quanto capace di suonare di tutto. Pianista, organista, tastierista, chitarrista, clarinettista, bassista elettrico, batterista, la sua musica è un insieme di jazz-fusion, pop, soul, hip-hop, R&B che è di per sé un'apoteosi di congetture, un’euforizzante e temeraria prova di come gestire vari stili in una forma sempre fresca e vitale.

Ha lasciato la sua firma collaborando con diversi autori del calibro di Kurt Elling, di Wynton Marsalis, di Ben Williams, di Lackecia Benjamin, di Samara Joy – vedi qui – e di una quantità di altri artisti di cui, onestamente, ignoro le identità artistiche, pur essendo anime ben in vista, a quanto leggo in giro, sulla scena elettrizzante della nuova musica newyorkese.

Evergreen lo definirei un gioiellino dall'aria scanzonata ma pungente, una creatura sfaccettata che ha l'aspetto di un funk in guanto di velluto, un albero con radici che scendono profondamente nel terreno della fusion ma che possiede rami sempreverdi proiettati nel cielo della contemporaneità. Il suo panorama di stili e influenze è il risultato di un desiderio quasi cannibalesco di appropriarsi della componente più ritmica e soul del jazz, sempre che di jazz si possa pienamente ancora parlare. La musica che ne consegue, nonostante alle volte appaia un po' convulsa, possiede comunque un proprio respiro dimostrandosi elasticamente adattabile, promuovendo l'idea che in questo album ci sia posto per svariate sonorità e invenzioni, con un diario di bordo comprendente perfino, come vedremo, uno spazio per il famigerato autotune. L'arcobaleno d'influenze presente in Evergreen ricopre in definitiva un periodo temporale che va dall'Hancock degli anni '70, passa attraverso una fase vicina a Joe Zawinul post Weather Report per toccare l'hip-hop attuale, conferendogli una scorrevole fragranza sonora, lontano da risvolti intellettuali e/o polemicamente sociali. Una musica divertente e d'intrattenimento, quindi, utilizzando quest'ultimo termine nel suo significato più nobile possibile.

 

Julius Rodriguez - Evergreen

 

Mission Statement apre l'album stratificandosi su una base ritmica di tastiere e drum-machine su cui vola il synth di Rodriguez a incrociarsi con quello di Nate Mercereau. Il brano è deliziosamente orecchiabile e si muove sul confine del pop ma non perde l'engramma del jazz, evidenziato chiaramente sia dall'assolo di synth che dall'intervento al sax contralto di Nicole McCabe, la sassofonista con cui lo stesso Rodriguez ha collaborato nella realizzazione del di lei album Mosaic del 2024.

Fummi's Groove s'aggrappa all'incisiva base del bassista Philip Norris che ascolteremo qualche minuto più tardi in un pastoso assolo, ma prima c'è il piano di Rodriguez a esordire con tocco delicato tra barbaglii di tastiere e alcuni lontani rumori di sottofondo – forse voci di bambini e sirene poliziesche la cui identificazione diventa un ottimo metodo per discriminare i buoni impianti Hi-Fi da quelli no... Poi la musica diventa un'affascinante forma di fusion che si sviluppa in un dialogo di fraseggi moderati tra il piano e organo con synth. L'assolo di Rodriguez la dice lunga sulla classe ma soprattutto sulla tecnica di questo polistrumentista, che deve essersi costruito con anni di perseveranza e di studi sulle forme stilistiche dei maestri dell'hard-bebop. Insomma, una traccia veramente brillante.

Around the World sembra virare inizialmente, in maniera visibile, su un pop dalle sfumature british, anche per merito degli accordi di synth che s'adagiano al di sotto dello sviluppo melodico del tema. Il piano intrigante di Rodriguez inanella una serie di figure concentriche sulle quali interviene la tromba di Alonzo Demetrius mentre il brano si riempie di volume e dinamiche e qui, con l'apporto micidiale del sax della McCabe, il pezzo s'allontana non poco dal pop per assumere l'identità di un jazz quasi più vicino al free che non alla fusion.

Road Rage è una classica soul ballad, dove la voce di Jay Adhler filtrata da un vocoder o da un autotune trova una strada discreta e tutto sommato delicata tra l'ottimo basso elettrico di Declan Miers e gli incroci tra la batteria suonata da Rodriguez ma forse mescolata con opportune tracce di drum machine. I cori sono della vocalist Maddi St John.

 

Julius Rodriguez

 

Il brano che segue, Many Times, è stato scritto da Dijon Duenas e pubblicato nell'album Absolutely del 2021. Trasformandolo attraverso un complesso arrangiamento pop-jazz che mantiene l'integrità dell'immagine melodica del brano, Rodriguez sa come cavalcarne il movimento attraverso la linea espressiva del suo piano, aggiungendovi delle parentesi armoniche dall'aria vagamente gospel. La traccia sembra contrarsi in un dialogo ristretto tra pianoforte, organo e componente ritmica. I fraseggi del suo autore si moltiplicano lungo l'arco incalzante delle tastiere per poi sfumare, nel finale molto ritmico e jazzy, in una sorta di riassunto ripetitivo tematico del brano, tra un arpeggio di chitarra e la timbrica dell'organo.

Rise and Shine è una piccola melodia dalla natura pop soul che ricorda qualcosa di Stevie Wonder, in un cadenzato 2/4 introdotto da un giro armonico di chitarra acustica corroborato dal piano che vi si sovrappone all'unisono. Praticamente Rodriguez fa tutto da solo, in questo caso, aggiungendo il synth e servendosi quindi di necessari overdubbing.

Run to It (The CP song) con l'introduzione di piano e organo ci porta, attraverso un groove ben gestito dalla ritmica e attraversato da rimandi gospel – l'handclap che ogni tanto fa capolino ce lo ricorda – in un clima di festosa allegria, anche per merito sia della tromba di Demetrius quanto del sax tenore di Chris Lewis. Sembra di essere in un corteo bandistico per le strade di New Orleans.

Love Everlasting è una ballad dall'intenso sapore soul costruita attorno a un passaggio di Rhodes dall'andamento ciclico con organo in sottofondo. Percussioni campionate e basso offrono una tonalità di calore potente, sulla quale emerge la tromba di Keyon Harrold, amico di lunga data di Rodriguez.

Stars Talk è un brano dalle velleità esplorative, regno di synth, scale romantiche di pianoforte ed effetti elettronici dovuti a Nate Mercereau. Senza dimenticare, comunque, la partecipazione di Emilio Modeste ai sax.

Il fluire impetuoso del piano nell'ultimo brano, Champion's Call, raccoglie la voce della rapper Georgia Anne Muldrow che rimane a galla pur in un gorgo di effetti elettronici, percussioni e cori che le ruotano vorticosamente attorno.

 

Julius Rodriguez

 

Gli appunti musicali di Julius Rodriguez volano rapidi attraverso le note saporose e velatamente retrò di questo album. Il lavoro che ne risulta, una combinazione assai efficace di molti elementi contemporanei – soprattutto i programmi percussivi e gli effetti dei synth – non può comunque ignorare i “souvenir” della jazz-fusion lasciati nei decenni passati, soprattutto quelli della triade Hancock-Corea-Zawinul. Rodriguez conduce la sua partita con spirito leggero ma non fatuo, dimostrando comunque, per mezzo dei molti interventi acustici – chitarra, pianoforte, utilizzo frequente dei fiati – di sapersi destreggiare tra i suoni “samplerizzati” degli ultimi anni padroneggiando gli equilibri e le tendenze contemporanee con buone partecipazioni di arrangiamenti più tradizionali. Piuttosto risulta un po’ sfocata la componente jazz, restando talora in deciso secondo piano rispetto al verbo più appariscente di un pop-soul preponderante, pur di alta scuola come questo.

 

Julius Rodriguez

Evergreen

CD e LP Verve 2024

Reperibile in streaming su Qobuz 24bit/44kHz e su Tidal qualità max fino a 24bit/192kHz

di Riccardo
Talamazzi
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