Michael Kiwanuka, trentasettenne chitarrista e compositore londinese, si esprime attraverso un “esperanto in chiave di soul”, un linguaggio che sembra guidarlo con direzione rassicurante lungo le strade del moderno pop rock. Percorrendo il suo ultimo album Small Changes, il quinto in carriera, si resta spesso coinvolti in un affascinante clima sottilmente malinconico che abbraccia un ampio crocevia di influenze. La musica soul, innanzitutto. Si va dai riferimenti storici come Marvin Gaye, Otis Redding, Percy Sledge fino ad arrivare a più moderne relazioni sintoniche, come ad esempio con Sade. Inoltre, complice la sua chitarra elettrica, si aggiunge anche qualche nota di raffinata psichedelia, sebbene mai troppo esplicita. La costante presenza di un'orchestrazione ad archi, oltre a ribadire il debito con la tradizione nera lungo l'asse Motown-Stax, si comporta quasi fosse un'intelaiatura sonora supportante la gran parte di questo album, contribuendo all'umore inquieto, se non a volte nebuloso, che sembra susseguirsi dal primo all'ultimo brano, con qualche sporadica eccezione.
Kiwanuka è certamente un autore di vaglia che si distingue di primo acchito dal resto degli artisti presenti lungo la strada contemporanea del neo o del retro soul. Eppure, giurerei che questo artista di origini ugandesi sia fondamentalmente un entertainer, pur nel senso più nobile del termine. La sua musica è quindi un lavoro d'intrattenimento molto ben costruito, senza forzature. Potremmo definirlo “spontaneo”, nel senso che si manifesta con un calore naturale e un aspetto strumentale ordinato, frutto di una produzione oculata e attenta ai piccoli particolari. Si capisce però come lui, almeno in questo album, non cerchi la perfezione sonora bensì la sottrazione, la sospensione, il rimanere a mezza strada. Una riflessione intima, cioè, che pare dedicata a un mondo sempre più frammentato e per questo non comprensibile nella sua interezza. Questo soul, lontano dall'immediatezza dei prodotti più commerciali e pur intriso di una certa dolcezza espressiva che non lascia indifferenti, in Small Changes sembra puntare su un disorientamento controllato, su una sensazione palpabile d'insicurezza, come se Kiwanuka non fosse ben certo dei sentimenti espressi in questo lavoro.
Piccoli Cambiamenti dunque, come indica il titolo dell'album. Tutto ciò suggerirebbe un processo sottile ma continuo di trasformazione, una promessa di novità che però qui si consuma tuttavia in dettagli minori, nella ricerca di una verità sfuggente e difficilmente afferrabile. Ad ogni modo l'album è musicalmente molto piacevole, non troppo impegnativo, tanto che stimola ascolti reiterati per via delle ambientazioni sonore ricercate e della scorrevolezza delle frasi musicali.
Tra i musicisti presenti in questo lavoro, oltre alla chitarra e alla voce di Kiwanuka, troviamo in alcune tracce il bassista Pino Palladino, il produttore e tastierista Jimmy Jam, Pete Anthony al piano e alla batteria James Gadson. Nutrita è la componente orchestrale degli archi diretta da Rosie Danvers, tanto che ho contato quasi una trentina di elementi intercambiabili lungo la performance di tutti i brani.
L'iniziale Floating Parade sembra trasportare i nostri ricordi a Quincy Jones e a Marvin Gaye, data la forte impronta del soul anni '70. Un bel mixage tra cori, un basso elettrico calato pienamente nella parte, la chitarra con i suoi pattern ritmici e ovviamente archi in istrionico assemblaggio che accompagnano la voce suadente. Grande brano d'apertura, quindi, assolutamente devoto al soul più classico possibile.
Small Changes, title track dell'album, è molto efficace nel suo proporsi in modo lento e misurato, arricchita a metà da un bell'assolo di chitarra dello stesso Kiwanuka. Si ascoltano tastiere che restano con discrezione in sottofondo mentre gli archi entrano sempre a modo, presenti ma non invasivi.
One and Only è un piccolo gioiellino ibrido, un country soul dallo spirito gentile annunciato da un arpeggio di chitarra, accarezzato dal canto modulato dell'artista britannico che può sfoderare, nell'occasione, una buona dose di malinconico groove. Non mancano nemmeno qui gli archi impegnati in una breve meditazione cameristica, con l'organo di Jam impegnato ad arrotondare la pronuncia musicale del brano.
Rebel Soul prende una piega psichedelica, introdotta da un ripetitivo arpeggio di pianoforte di Anthony e da una batteria che da sola è in grado quasi di caratterizzare il brano, sostenendo il chorus con il suo semplice beating. Ci si allontana dal soul, in effetti, ma senza andare poi così lontano.
Si resta dalle parti del pop psichedelico con Lowdown (Part I) registrata dal vivo – almeno sembrerebbe a giudicare dagli applausi – ma qui la distanza con il soul tende ad aumentare, anche per via della chitarra acidella che imperversa più o meno a metà brano, intercalandosi con le note piene dell'organo e il basso assoluto di Palladino. La sonorità sembra quella di una band anni '70 consacrata al culto pinkfloydiano.
E guarda caso parliamo di Gilmour quando si arriva a Lowdown (Part II), dove basta ascoltare il timbro liquido della chitarra per dare adito a questo paragone. Qui però ho l'impressione che con i violini & Co. si sia un po' calcata la mano, accentuando fin troppo il profilo pop del pezzo stesso.
Follow Your Dreams torna tra le braccia del soul rock con una traccia piacevolmente monotona, nonostante il basso elettrico di Palladino e il synth cerchino di smuovere un po' più le acque. Ma il timbro vocale di Kiwanuka è sempre gradevole e dentro le righe, attento a toccare le corde più sensibili dell'ascoltatore.
Live for Your Love è un'altra pagina di pop soul, sul modello Sade. Una canzone che avrebbe potuto benissimo essere nelle corde anche di una cantante come la Winehouse: ascoltate a questo proposito il disimpegnato accompagnamento ritmico e il coretto che sostiene il refrain.
Stay By My Side ha un polso troppo debole perché possa risaltare tra gli altri brani ed è, a mio giudizio, la traccia meno interessante dell'album.
The Rest of Me, con una lunga introduzione di chitarra acustica alla Arthur Lee, si riaccosta al mondo più acconcio a Kiwanuka, cioè, come già abbondantemente rilevato, a un soul un po' malinconico e riflessivo con misurati interventi di chitarra e di violini.
Four Long Years è una classica ballatona in 6/8 stile Percy Sledge, con i violini che cadono al punto giusto e la chitarra a sottolineare con lunghe pennate i passaggi armonici per poi promuovere un assolino studiato ad hoc affinché non si alteri il clima d'equilibrio creatosi con la bella e suggestiva voce.
La realtà composita di questo bell'album, pieno di sentimento come solo la musica soul può riuscire a realizzare, è un puro specchio riflettente le varie componenti che costituiscono l'anima di Kiwanuka. Una voix du role, la chitarra che ne insegue i desideri adattandosi alla natura dei brani, la buona scrittura, il senso della misura, l'importanza degli archi. E anche quella vibrazione inquieta che traspare in questa musica, un misto di speranze realizzate e altre deluse a rimarcare una sorta di pudica riservatezza autoriale che affiora spesso tra le battute del pentagramma.
Michael Kiwanuka
Small Changes
CD e LP Universal 2024
Disponibile in streaming su Qobuz 24bit/44kHz e Tidal qualità max fino a 24 bit/192kHz