Consapevolezza sonora, materia vibrante e una certa ansia latente, sono tre elementi che s'intrecciano in profondità all'interno di molte opere del chitarrista Nels Cline ed in modo particolare in quest'ultimo Consentrik Quartet, quarto album non consecutivo per la Blue Note.
Guidato quindi dalla sensibilità artistica di uno dei più influenti chitarristi contemporanei, il quartetto è composto oltre che dallo stesso Cline, da Ingrid Laubrock al sassofono tenore e soprano, Chris Lightcap al contrabbasso e Tom Rainey alla batteria. Quest'ultimo musicista collabora in modo intermittente con Cline da circa vent'anni. La curiosità sta nel fatto che, pur non amando il suono del sax come riportato in un'intervista concessa a Rob Sheperd per PostGenre l'11 marzo di quest’anno, vedi qui, Cline ha voluto al suo fianco proprio il sassofono della moglie dello stesso Rainey e cioè della Laubrock, anch'ella musicista con innate tendenze sperimentatrici, per cercare di mantenere una maggior coesione sintonica tra i membri del gruppo.
Il quartetto così composto incarna una visione musicale molto moderna, che a tratti regala l'impressione di una lettura sghemba, lacerante ed eccessivamente destrutturata. Ma altre volte convince per l'architettura solida e l'uso spavaldo, tecnicamente ineccepibile, dell'improvvisazione. Tutti elementi che tendono a sottolineare l'eclettismo delle idee e delle partiture che stanno alle spalle di quest'album.
Riguardo al temperamento musicalmente istrionico di Cline basterebbe prendersi la briga di controllare la varietà delle sue collaborazioni che vanno dal rock dei Wilco – era il 2004 – e Sonic Youth, nella figura di due elementi rappresentativi come Lee Ranaldo e Thurston Moore, fino a jazzisti come il tastierista Larry Goldings, il batterista Jim Black, il trombettista Wadada Leo Smith, il trio Medeski, Martin & Wood, il compositore e polistrumentista Anthony Braxton, financo ad arrivare a un contemporaneo di altra provenienza planetaria come Terry Riley.
La personalità di Cline è tale da aver coinvolto nella propria orbitaanche un altro chitarrista più regolare come il già citato Julian Lage – vedi qui – nello stimolante album Room del 2014, convincendolo alla religione dell'avanguardia, lui come tutti quelli che in qualche modo, jazzisti o rockettari che siano, hanno incrociato il suo cammino.
Questo per riassumere in poche righe il suo ricco e variegato curriculum, da sempre distinguibile per il personale modo di approcciare il suo strumento e le proprie composizioni. A questo proposito, le dodici tracce di Consentrik Quartet, appaiono quasi divise in due parti, con le prime sei che facilitano – entro certi limiti – un approccio più diretto rispetto alle restanti, alle quali è dovuto un ascolto più paziente e cauto. Ci si deve muovere quindi a tratti con più attenzione rispetto ai numerosi spigoli dissonanti e un po' provocatori che appaiono qua e là, secondo lo stile anticonvenzionale di Cline e sodali.
L'album, nato in parte da una riflessione sulla passata pandemia e dall’inesauribile vitalità della scena musicale improvvisata statunitense, si presenta come una creazione collettiva che trascorre da simil-ballate rarefatte a oasi di suoni anarcoidi. Cline non si accontenta di proporre brani, ma vuole costruire universi abitabili all'interno dei quali vengano esplorati territori dove jazz, rock e avanguardia dialoghino tra loro con una naturalezza quasi disarmante. E ulteriore dato importante, all'interno di questa bussola musicale non si palesa un ago magnetico attratto verso un unico polo ma, come ben sottolinea il titolo dell'album, esiste un cum-centrum, cioè un insieme di forze equipollenti alla stessa distanza dal cuore progettuale del lavoro. Comunque la verità profonda, al di là di ogni pianificazione od eventuale dichiarazione programmatica, è che Cline punta a una espressività poco condizionata da terrapiattismi ideologici, mettendo a servizio della sua voglia errabonda di divertimento l'estro e l'indubbia tecnica strumentale che possiede.

The Returning Angel si manifesta con un arpeggio di chitarra, subito seguito da sax e sfregolii percussivi che non proseguono compatti ma che sembrano sfilacciarsi in un clima spiritato e notturno. Entra in gioco anche il contrabbasso, archettato verso il finale. La somma espressiva, piuttosto enigmatica, viene soprattutto affidata alle volute del sax, molto melodico e pulito. Il brano non ha un finale netto, si dissocia progressivamente continuandosi con The 23. Lightcap imposta un riff poderoso al contrabbasso mentre il sax tenore fraseggia jazz all'inizio su base armonica modale e Cline si limita momentaneamente a un accompagnamento ricco di colore. Gran lavoro percussivo di Rainey, a cui non manca la capacità di selezionare tamburi e piatti in un continuum straordinariamente efficace. Dopo un leggero rullio di pelli, la chitarra attacca un assolo esuberante che si muove tra rock, jazz e avanguardia entrando per un tratto all'unisono col sax. I cambi di tonalità conferiscono volume e coinvolgimento a un brano che si rivela un vero gioiello di struttura e improvvisazione.
Surplus comincia all'insegna dell'omaggio al be-bop con uno stretto, angoloso dialogo tra chitarra, sax e note basse. Poi però il brano viaggia in direzione più contemporanea con il sax che volteggia su una ritmica corposa tra gli accordi variegati di Cline. L'assolo di chitarra è molto jazz rock, la sua tecnica si evidenzia senza alcuno sforzo e le sue linee musicali spaziano in ogni dove, fino a quando si giunge ad una conclusione insistita in cui tutti e quattro i musicisti sembrano voler modificare radicalmente il brano, con l'intrusione di un riff aggressivo e la distorsione della chitarra. In realtà è solo una momentanea rivoluzione, perché il gruppo si riaccosta ai momenti simil-bebop dell'inizio.
I velati prodromi di chitarra e contrabbasso che compaiono in Slipping Into Something non traggano in inganno. Da lì a poco non si scivolerà verso alcuna forma di rilassamento ma attraverso un poderoso groove di contrabbasso si finirà invece all'interno di un bollente funky jazz, caratterizzato dalle iniziali, scambievoli dissonanze tra sax e chitarra, per poi continuare in un serrato discorso tra loro. Quello che si ottiene è un efficace esercizio di costruzione, un sistema nervoso in equilibrio precario ma irresistibile.
Allende è probabilmente il brano più stabile di tutto l'album che ondeggia sulle note malinconiche del contrabbasso e i crepuscolari lampi dei piatti della batteria. Il sax ha un sapore nostalgico, la chitarra lavora su accordi consonanti e si crea una sorta di clima sospeso. Le particelle sonore sono braci che illuminano l'oscurità e il ritmo si frammenta secondo una logica dispersiva.

House of Stream incrementa leggermente la parte ritmica con una risoluzione reiterata di contrabbasso,effetti di sustain chitarristici riverberati e un sax sempre caldo e responsivo a controbilanciare gli echi dilatati dello strumento di Cline. La dinamica s'incrementa fino all'aumentare del crogiolo sonoro che trascina vorticosamente la musica verso il finale con un jazz rock energetico ma non caotico, caratterizzato da un ennesimo sincrono tra sax e chitarra.
Inner Wall è nelle sue fasi iniziali un lungo drone costituito tra l'archetto sfregato sulle note più alte del contrabbasso e il sax, in mezzo al quale la chitarra si sospende con qualche accordo melodioso. Ma arriva improvvisamente una decisa mutazione ritmica e il suono del sax acquista potere dirompente, come pure la sequenza pulsante della batteria, mentre la chitarra si mantiene un po' discosta.
Satomi è un brano dedicato alla cantante e bassista Satomi Matsuzaki dei Dereehoof di San Francisco, band di rock sperimentale. E se parliamo appunto di sperimentazione, in questo brano c'è quasi tutto, da Frank Zappa agli intensi sproloqui sonori dettati da voglie libertarie, da ritorsioni atonali a giocosità punk rock. Nel mezzo si colgono però riff ben strutturati e verso metà brano – quasi dieci minuti tirati un po' troppo in lungo – ci si va a incagliare in una serie di arpeggi e intristiti momenti di sax. Sembra un'azione quasi consolatoria, direi una dedica personale veramente sui generis.
La batteria comincia con The Bag in solitaria performance introduttiva e pare indirizzare il resto del gruppo verso un be-bop all'unisono inizialmente ben gestito da chitarra e sax. Ma poi tutto deraglia verso una forma libera tradotta in un colloquio famigliare tra sax e batteria e tocca alla chitarra, per mezzo di una serie di passaggi arpeggiati e ridondanti tra effetti sonori conditi da qualche sibilo qua e là, il difficile compito di dare una forma precisa a ciò che non ne ha. Ci riesce solo in parte, sempre che questo sia stata l'effettiva volontà del suo autore…
Down Close è quasi un blues con un fuggevole apporto “noir”di contrabbasso. Dico quasi perché, dopo poco tempo, anche questa forma perde i suoi contorni e si diluisce in una serie di movimenti autonomi e politropici. Verso la fine tutto sembra parzialmente ricomporsi, almeno nelle intenzioni.
Question Mark (The Spot) si affida a un assolo circostanziato di contrabbasso per affacciarsi su un moderato free che a tratti ricorda Ornette Coleman, anche se il suono della Laubrock appare decisamente più pulito e leggibile. Ci pensa Cline a rendere tutto più aggressivo e saturato di rumore, innescando una serie di clangori di fondo che poi finiscono per sovrapporsi in una circolarità sonora insieme al sax.
L'ultimo brano, Time of No Sirens, ripercorre più o meno lo stesso clima del primo pezzo dell'album, rituffandosi in quei momenti rarefatti e malinconici che sembrano così lontani dalla media delle atmosfere fin qui descritte. Ottimo l'intervento del contrabbasso a scandire melodicamente uno spazio tra le percussioni e il sommesso dialogo tra chitarra e sax.

Chi conosce già il carattere avventuroso di Nels Cline lo ritroverà intatto e imprevedibile come al solito anche in questo ultimo album. Chi non l'avesse prima d'ora frequentato avrà pane per i suoi denti e potrebbe rimanerne un po' spiazzato. Ma questo musicista è così, curioso, a volte impavido, altre volte più incline a restare, almeno per qualche tratto, nei confini di un duttile esercizio jazzistico meglio riconoscibile. Tempi addietro, in altre circostanze, lo avevo definito come un “eterno ragazzo” ultrasessantenne, oggi ha sessantotto anni, ben inteso senza motivi denigratori, paragonandolo a un musicista che trovavo simile a lui nelle intenzionalità creative come John Zorn. E come tutti gli eterni ragazzi che giocano alla musica con lo stesso candore esplorativo, Cline adopera se stesso in virtù di un'auto-realizzazione che non passa necessariamente attraverso sentieri già battuti da altri.
Nels Cline
Consentrik Quartet
CD e doppio LP Blue Note Records 2025
Disponibile in streaming su Qobuz 24 bit/96kHz e Tidal qualità max fino a 24bit/192kHz