Credo sia ragionevolmente improbabile che un appassionato di hi-fi, o audiofilo, di media età, non abbia posseduto, seppure per breve tempo, una elettronica Musical Fidelity nel proprio impianto. Questo marchio prestigioso sembra esistere da sempre e, in effetti, ha mantenuto la rotta dell’hi-end per trent’anni, con una produzione che varia da livelli di segmento entry, ad altri di rango decisamente elevato, se non top. Cito, fra tutti, il mitico amplificatore A1: un integrato da 20 W in classe A, prodotto nel 1984, sulla cui griglia, che raggiungeva in funzione temperature tra i 50° e i 60°, si poteva tranquillamente cuocere una bistecca. Ma la musica… che delizia! Una dinamica, un dettaglio, una leggerezza, un’armonia ineguagliabili per uno scatolotto ultra-minimale, ma di sostanza vera. Ancora oggi resta una macchina molto ricercata, emblema di quella che é sempre stata la filosofia costruttiva di Musical Fidelity: creare apparecchiature capaci di performance eccellenti, ma a prezzi moderati.
Ha suscitato in me una certa emozione aprire l’imballo di questa ennesima creatura e trovarmi tra le mani una busta e un biglietto cartonato bianchi, che danno l’idea di un invito ad una cerimonia, dove Antony Michaelson firma un manifesto nostalgico in miniatura ricordando gli albori home made, anzi kitchen made, dell’azienda inglese, per arrivare alle dimensioni globali del recente passato e dell’attualità, sempre con l’obiettivo di offrire solide soluzioni agli appassionati di musica; questo intimo messaggio, scritto da chi, come Michaelson, è anche impegnato musicista, appare davvero come una dichiarazione d’amore. Bisogna anche riconoscere al buon Antony un fiuto sopraffino, con l’aggiunta, diciamolo, di una indulgenza un tantino “marchettara”, per le tendenze del momento, ovvero una innata capacità di assecondarle, progettando macchine al passo con la mutabilità dei trend dell’ascolto di massa. C’è richiesta di bassa potenza in classe A? Alta potenza? Digitale? Analogico? Conversione ad alta risoluzione? No problem! Per ogni stagione è pronta l’offerta. Forse il settore in cui il nostro uomo si è meno cimentato è proprio l’analogico, anche se su ogni amplificazione MF troverete una scheda phono integrata neanche tanto male. Le sortite nel genere comunque ci sono. Ne è la prova il giradischi M1; e, come invocato dai tempi recenti di rinnovata attenzione nei confronti del vinile, non mancano i preamplificatori phono.
Il Musical Fidelity M1 ViNL, oggetto delle nostre attenzioni, viene orgogliosamente presentato come “top quality phono stage con combinazioni di settaggio RIAA che ne fanno uno dei migliori sistemi hi-fi a tutti i livelli di prezzo”. La premessa è a dir poco ambiziosa, anche in considerazione di un listino intorno agli 800 Euro; ma noi di ReMusic siamo qui per verificare.
Mi corre l’obbligo di una premessa, che vale per la recensione presente, come per quelle a venire. La mia catena di ascolto, e di prova, ruota intorno ad un pre a trasformatori, l’Audio Tekne TP8301 MKIII: questa condizione non è affatto usuale, e costituisce una dimensione elettrica e sonica diversa, sia per la presenza dei trafo lungo il segnale, sia per la qualità dei nuclei in superpermalloy. Le elettroniche di cui mi sono occupato negli articoli precedenti sono state sempre messe sul banco di due impianti: quello appena citato contro un secondo di impostazione classica, ovvero sorgente-integrato-diffusori. Beh! Le differenze, a volte, si sono rivelate abissali. Nel caso attuale, considerato l’esiguo tempo di trattenimento dell’apparecchio, non potrà esserci alcun confronto parallelo, ma lavorerà esclusivamente l’impianto principale.
Il ViNL, progettato per testine MM ed MC, ha un peso di 3,5 kg e si presenta con uno chassis molto semplice nelle sue discrete dimensioni di 22 cm di larghezza, 10 di altezza e 30 di profondità. Il frontale grigio alloggia, oltre al minuto interruttore dell’accensione, altri sei pulsantini di servizio che garantiscono una ragguardevole versatilità. In sequenza, si può operare sulla selezione dell’MM, del relativo carico resistivo e capacitivo, dell’MC e del carico resistivo, per finire con la possibilità di commutazione tra la curva RIAA standard e la RIAA IEC.
Non potrò essere esaustivo sull’argomento, perché è materia vasta e complessa, ma al fine di offrire uno spunto di ricerca e approfondimento al lettore che lo ritenga opportuno, è basilare sapere che la RIAA, acronimo di Recording Industry Association of America, nasce nel 1952 dall’esigenza di uniformare le numerose tipologie di equalizzazione applicate alle registrazioni analogiche. In precedenza ogni etichetta lavorava su un’equalizzazione propria, costringendo i produttori di hi-fi a contemplare altrettante varietà di curve. Esistevano oltre 100 combinazioni in uso: tra le principali posso citare Columbia78, Decca U.S., European, Victor78, BBC, NAB, Columbia LP, AES. La curva progettata dalla citata associazione divenne standard dal tempo in cui fu introdotta la registrazione stereo. Nel 1972, una versione alternativa di curva fu proposta dalla International Electrotechnical Commission. Si differenziava dalla RIAA vigente perché introduceva una modifica a 20 Hz di frequenza, finalizzata a ridurre l’uscita subsonica del pre phono condizionata dalle deformazioni della superficie del Long Playing e dal rumble del giradischi. Tale curva, adottata prevalentemente in Europa, non può considerarsi di valida attrattiva, poiché innesta considerevoli alterazioni ed errori di fase alle basse frequenze durante la riproduzione, oltre ad una riduzione del rumble stesso di dimensioni tutto sommato trascurabili. Sostanzialmente le due curve sono molto simili, ed i dischi registrati in IEC sono in quantità veramente esigua.
Per queste ragioni, pur apprezzando la dotazione di serie al nostro phono, sarebbe stato più coinvolgente, anche per scopi didattici e di ricerca, soprattutto per coloro che posseggono un’ampia collezione di incisioni mono, un’offerta di maggiori opzioni di curve. Io ho provato a “giocare” un po’ con lo switch, ma le differenze tra posizione RIAA ed IEC sono risultate al limite del percettibile.
Ho accennato alla versatilità dell’M1 ViNL. L’ingresso MM è dotato di due opzioni di carico resistivo, 47 kohm e 67 kohm. Otto, invece, sono le opzioni di settaggio capacitivo: 50, 100, 150, 200, 250, 300, 350, e 400 pF. Per l’ingresso MC sono previsti ben dieci livelli di settaggio resistivo: 10, 18, 25, 50, 100, 400, 800, 1600 ohm, compreso un valore di 47 kohm raccomandato per testine Moving Coil con uscita pari o superiore ad 1 mV. La capacità di ingresso non è regolabile.
Considerate tutte queste opportunità, in sintonia con la comodità operativa disarmante con cui si possono eseguire tutte le manovre di tweaking della testina, anche contestualmente alla riproduzione della musica, abbiamo già posto salde basi per la formazione di una valutazione della macchina. Questo aspetto è degno di essere evidenziato, e costituisce, a mio parere, il motivo primario di un eventuale interesse per l’apparecchio. Pensate a quanto saporita possa essere la facoltà di modificare il settaggio in corsa, mentre il disco gira; è come avere a disposizione una serie di preamplificatori, tutti uguali, ma con valori differenti, così da poter individuare una regolazione fine dei carichi finalizzata all’espressione massima dell’interfacciamento e ad una lettura massimamente lineare. Resta da aggiungere che, mentre il guadagno per l’ingresso MM è il classico 40 dB, quello MC si attesta sotto la soglia dei 60 di qualche decibel. Questo richiederà al potenziale utilizzatore un’attenzione profonda al livello di uscita della testina, ma in misura maggiore, alla sensibilità di ingresso dei componenti successivi della catena audio, che deve tenere la linea della progressività, step by step, altrimenti si rischia di non mettere l’impianto nelle condizioni di suonare correttamente, anche in presenza di componenti milionari; è una regola universale, tenetela sempre in mente in fase di assemblaggio dei vostri impianti hi-fi. C’è da annotare anche la dotazione di uscite bilanciate, a fronte di un circuito che non lo è.
Gettando un’occhiata all’interno, si rimane leggermente basiti al cospetto di un’alimentazione sottodimensionata e di un uso invasivo di operazionali. Non c’è ombra di un trasformatore seppur piccolo, di un avvolgimento, di una bobina… nulla, solo microchip di tutte le fogge, per fortuna con caratteristiche di bassa rumorosità. Positiva anche la brevità dei percorsi del segnale, che consente all’M1 di raggiungere un ragguardevole livello di rapporto signal/noise, dichiarato dal costruttore a 90 dB per l’ingresso MM, e 88 dB per l’MC.
Siate indulgenti se persevero intorno all’importanza di eliminare il rumore di fondo delle elettroniche, soprattutto negli stadi phono, laddove sono in gioco elevazioni di impulsi molto esili. Il silenzio di fondo è fondamentale: è la linfa vitale della musica riprodotta. Immaginatevi comodamente seduti nelle prime file di un Auditorium ad ascoltare live il vostro musicista preferito, dopo aver sborsato un centinaio di euro per il biglietto, quando inaspettatamente si siede alla vostra sinistra una tipa ansiogena che invia messaggini ai suoi fidanzati, e alla vostra destra un energumeno che trangugia con avidità pop-corn e coca-cola: amici cari… avete gettato cento euro dalla finestra!
Al di là della metafora, la silenziosità è un punto aureo di questa macchina. Ciò che immediatamente ne consegue è un’innata capacità di estrarre dettagli, anche i più reconditi, e microsfumature, ai confini del subsonico.
Ascoltate, per averne prova, il disco Tudo bem!, di Joe Pass, Pablo Records, dove il più virtuoso dei chitarristi jazz, fulminato sulla via di Rio de Janeiro e del Carnavao, porta in studio l’immenso percussionista Paulinho da Costa con il suo gruppo, per regalarci un’oasi fresca di Brasile, proponendo standards melodici di autori come Jobim, Deodato, Oscar Neves, Marcos Valle, Roberto Manescal, tra gli altri, filtrati dal suo pregiato stile strumentale. Il sorridente Paulinho percuote tutto quello che si trova nel raggio delle sue braccia, dal ligneo, al metallico, dalle pelli ad altri oggetti risonanti, che non sono riuscito a decifrare, ma che sono stati chiaramente intercettati dal mio udito, grazie al lavoro del Musical Fidelity, dalla cui rete a maglie strette non sfugge proprio nulla. Gli attacchi delle note sono puliti e rapidi, pur con un decadimento troppo veloce; un maggiore sustain sarebbe stato desiderabile. L’immensa quantità di dettagli contribuisce ad una buona presentazione spaziale, con una scena decisamente ampia, purtroppo un po’ lacunosa in profondità. Questa debolezza incide sulla relazione dimensionale tra gli strumenti, degradando l’ambienza e assottigliando il soundstage. Si ha la percezione che i musicisti siano schierati tutti sulla stessa linea, anche negli intermezzi solisti. A fronte di una notevole riproduzione olografica, non viene stimolata, in chi ascolta, l’eccitazione di rincorrere, non solo tramite l’udito, ma con tutti i sensi, le micro nuances strumentali attraverso tutte e tre le dimensioni della stanza. Certo è che raramente mi è capitato di ascoltare una pulizia e una fedeltà di riproduzione in stadi phono della categoria dell’M1 ViNL.
Un superamento parziale di queste primarie sensazioni è avvenuto quando la testina ha cominciato a tracciare i solchi dell’Opera Daphnis et Chloè, di Maurice Ravel, EMI Testament, interpretata da Andrè Cluytens e l’Orchestre de la Société des Concert du Conservatoire Paris. Una performance magnifica, sontuosa, senza asprezze o metallicità, e piena di ariosità ed estensione, ricca di dettaglio, con una densità di strumenti collocati su diversi piani di profondità, con il piacevole risultato di una spazialità più vicina alla realtà, e di un sound di gran lunga più elettrizzante. In alcuni passaggi ho avuto la sensazione di una limitata raffinatezza e scarso peso delle linee basse, oltre a qualche nota stridula sugli estremi acuti degli archi.
L’M1 non è proprio un mostro di dinamica. Per poterne apprezzare le qualità c’è bisogno di alzare il volume. Il progetto fondato sugli operazionali, piuttosto che su un bel paio di trasformatori, ne orienta fatalmente la linearità e la timbrica, proiettandola in una dimensione pseudo-analogica. Intendo dire che le incisioni originali sono inquinate da una patina digitale che le spoglia di naturalezza e calore; insomma le priva di un pezzo di anima. La riproduzione appare esteticamente perfetta, bellissima, fluida, ricca, sicura, attraente, ma costruita, androide, come la Rachel del film Bladerunner.
Le prestazioni del phono MF sono comunque sorprendenti; credo che gli sforzi progettuali abbiano raggiunto l’obiettivo di esprimere il più alto livello di realismo possibile in questa fascia di prezzo. Pur mettendo in luce dei limiti oggettivi al disvelamento di tutto il potenziale racchiuso nei solchi di un disco nero, questo piccolo grande pre, grazie alla pregevole versatilità e semplicità d’uso, dimostra di avere tutti i numeri necessari a prendere per mano anche il più incallito infatuato dell’MP3, per accompagnarlo, come un moderno Virgilio, nel mondo soprannaturale del vinile.
SCHEMA RIEPILOGATIVO
Voto massimo ✳✳✳✳✳ Spark, le scintille ReMusic
Timbrica ✳✳✳ | Quanto può essere equilibrata e naturale un’incisione analogica riprodotta da amplificatori operazionali? Mancà o' sanguè int'e' venè saje! (Scusa, Lucio!)
Dinamica ✳✳✳ | Non c’è lo slam. Quella emissione sonora, quell’onda di note che ti arriva addosso anche con una tacca di volume.
Dettaglio ✳✳✳✳✳ | A un certo punto ti viene da dire ”Basta! Ho capito”.
Trasparenza ✳✳✳✳ | Trasparenza e pulizia, su un letto di silenzio. Il piatto è servito. Più efficace nella riproduzione dell’evento studio piuttosto che live.
Immagine ✳✳✳1/2 | Ma lo vogliamo capire che le dimensioni sono tre?
Tonalità ✳✳✳ | Nessuna colorazione. Ah! Ah! Scherzavo.
Caratteristiche dichiarate dal produttore
Ingresso MM
Risposta in frequenza: RIAA o RIAA/IEC (selezionabile) ±0.2dB
Sensibilità di ingresso: 3mV in - 300mV out (a 1 kHz)
Impedenza di ingresso: 47KΩ o 68KΩ selezionabile
Capacità di ingresso: 50-400pF selezionabile
Distorsione armonica totale: a 1 kHz <0.01%
Margine di overload: 31dB
Rapporto segnale/rumore: >90dB
Ingresso MC
Risposta in frequenza RIAA o RIAA/IEC (selezionabile): ±0.2dB
Sensibilità di ingresso: 500μV in - 300mV out (a 1 kHz)
Impedenza di ingresso: da10Ω a 47KΩ selezionabile
Capacità di ingresso: 470pF fissa
Distorsione armonica totale: a 1 kHz <0.01%
Margine di overload: 31dB
Rapporto segnale/rumore: >88dB
Livello di uscita
1 paio RCA (phono) sinistra e destra 300mV nominali 10V massimo
1 paio XLR (bilanciato) sinistra e destra 600mV nominali 20V massimo
Controllo del Trigger
Ingresso 3.5mm mono jack da ±4.5 a ±15V DC
Uscita 3.5mm mono jack +12V DC
Alimentazione: alimentatore universale 80-250V AC 50/60Hz, consumo 10Watt massimo, <0.5W in standby (LED arancio acceso)
Peso: unità senza imballo 3.5kg, con imballo 4.0 kg accessori inclusi
Dimensioni: 220x100x300mm LxAxP) piedini inclusi e terminali inclusi
Distributore ufficiale Italia: al sito SO
Prezzo di listino Italia alla data della recensione: 876,00 euro
Sistema utilizzato: all'impianto di Giuseppe "MinGius" Trotto