Da qualche tempo, sulle pagine delle più svariate riviste, al pari di quelle di quotidiani di rilevanza nazionale, ovvero all’interno di trasmissioni televisive e radiofoniche anche non di genere, mi capita spesso di leggere trafiletti, pezzi, articoli, grafici statistici o ascoltare/vedere servizi o interviste che inneggiano alla cosiddetta rinascita del vinile. Più recentemente, tutto questo substrato di news, costruito evidentemente per creare ad arte una sorta di pathos, ha avuto la sua apoteosi nel lancio detonante di una notizia cui è stata attribuita una rilevanza epocale: “La vendita del vinile nel mondo ha superato quella del CD”. NdR | E qui si legge di alcune conseguenze di mercato.
Mi corre l’obbligo di una premessa.
Si tratta di una delle notizie più angosciose che gli amanti del disco nero potessero attendersi. Intanto facciamo un’analisi semantica superficiale della terminologia espressa partendo dalla ridondanza della parola rinascita. Questa ha un’accezione nobile, accompagna eventi storici, umani, sociali, letterari e artistici. Nel contesto che ho appena accennato non viene affatto utilizzata per caratterizzare un fenomeno elevato, prestigioso, quanto invece volgarizzata per generare clamore di massa, quella massa tanto cara ai burattinai del capitalismo globale e del marketing. Tant’è che subito dopo si parla di vendita.
Per quanto mi riguarda, la news che la vendita del vinile ha sorpassato quella del CD vale quanto la news, che so, che la vendita delle mazzancolle ha sorpassato quella delle alici. Anzi, la seconda, vista la personale venerazione per le mazzancolle, sarebbe certamente più interessante. Ma poi il motto “rinascita” presuppone un tramonto, una fine, una morte. A me non risulta che il vinile sia mai defunto. Posso pensare obiettivamente che abbia avuto un periodo di difficoltà, ma niente affatto ascrivibile a una propria insita debolezza, che sia di forma, di contenuto o di struttura, tanto meno di cultura e modernità. Tanto per rimanere nell’attualità, mi sembra piuttosto che sia stato colpito da un virus, certamente manipolato, che ne ha indotto un progressivo denaturare, fino allo svilimento completo della natura originale.
Se entro in un negozio di dischi, mi sento a disagio, perché mi trovo davanti a uno sfavillio di riflessi caramellosi, un luogo costruito per attrarre i bambini. Vinili verdi, rossi, gialli, numerati, autografati, con allegato un CD, un DVD, un codice per il download, una maglietta, le foto dell’artista a sei mesi, un anno, dieci, al mare, in bicicletta, un biglietto per l’Acquapark e altri gadget inutili. Fatalmente il prezzo di tutto il pacchetto è difficile che scenda sotto i trentacinque euro... Negli anni ’70, con una somma simile mi portavo a casa una decina di LP! Allora, prima di rischiare lo shock di vedere Mastrota che vende dischi in telepromozione e ti regala anche una mountain bike con cambio Shimano, evento, questo sì, che sancirebbe il de profundis per il nostro amato oggetto, penso che sarebbe opportuno fare qualche riflessione, senza alcuna velleità saggistica o assiomatica. Se i negozi si sono ormai trasformati in una sorta di glitterandia in HD, i mercatini hanno invece sancito che il disco è un oggetto di antiquariato, condizione che ne ha fatto lievitare fatalmente i prezzi. Con l’aggravante che spesso si tratta di vinili molto trascurati, sia nella copertina che nella superficie, con la conseguenza di essere praticamente inascoltabili, se non mettendo le nostre preziose testine a serio rischio di danneggiamento. Il cartello dei venditori ha preso possesso anche dell’ambiente e-commerce, dove dominano un paio di cataloghi internazionali che determinano le quotazioni.
In Italia – e come ci si può sbagliare – i fenomeni descritti sono molto più esasperati che all’estero, dove ci si può felicemente approvvigionare in una gran quantità di negozi o mercati, cito fra tutti Saint Ouen a Parigi, ma anche Edimburgo e Glasgow, Utrecht, tutti luoghi in cui mi sono recato tornando con un bottino molto sostanzioso e le tasche salve. Sto insistendo sul fenomeno pecuniario perché è un chiaro indice di un progetto di sfruttamento di un’onda, che mi appare alquanto effimera, col fine di massimizzare profitti in tempi brevi, senza alcun elemento di solidità e prospettiva. La strategia è sempre uguale, inventare una tendenza, prendere i soldi e scappare, lasciando macerie.
Parallelamente all’incremento delle vendite del vinile è esploso il fenomeno dei giradischi. Io non ho memoria di un periodo in cui ne sono stati progettati così tanti. Qualcuno potrebbe obiettare: “Beh, ma non sei contento?”. Per niente, se gli acquirenti non sanno nemmeno montare una testina o sostituire una cinghia. Per niente, se una quota cospicua di apparecchi sono plug & play, costano meno di duecento euro, praticamente giocattoli di plastica addirittura con l’uscita USB, contro la quale non ho alcun risentimento, salvo domandarmi a quale esigenza risponda per un amante dell’analogico.
Insomma, sento puzza di bruciato. La mia idea è che il disco nero è stato e deve continuare a essere un fenomeno culturale, pena una inesorabile banalizzazione del rispettivo valore e dell’essenza, ovvero dei cardini della propria sopravvivenza. Il disco ha la stessa valenza e identico impatto di un film, di un dipinto, di un libro. Contiene una storia, un concept, nasce in un contesto. Ha una dignità artistica assoluta, a cominciare dalla copertina – quelle abrase me le restauravo con delle tinte che avevo preso in una tipografia. Può essere testimone di un’epoca, contribuisce a formare coscienze, a educare.
Eccola la parola fatidica, educazione. Come può un fenomeno essere dichiarato autentico se non fonda su questi basamenti? Fatta salva qualche eccezione, ReMusic in prima linea, nessuno si occupa di un’onesta divulgazione, soprattutto quella che riguarda l’ascolto della musica e i sistemi di riproduzione della stessa. Per produrre effetti la formazione su tali materie dovrebbe essere massificata, nelle scuole, attraverso i media, nel quotidiano, evitando di limitarsi sterilmente alla proposizione di oggetti senza rappresentarne l’elemento vitale e significante. Allo stesso modo, le persone giovani che vogliono avvicinarsi a questo supporto, devono oltrepassare la facciata, capire che si è al cospetto di un sistema meccanico, all’interno del quale l’elemento umano non può essere passivo. Non esiste fretta con l’analogico, ma esistono velocità, peso, massa, inerzia, risonanza, tutti elementi che, se acquisiti correttamente, con il tempo possono offrire divertimento e soddisfazione infiniti.
Sono costretto a essere altresì molto critico nei confronti di una recente filmografia e documentaristica che ha come protagonista il vinile, dove non ho trovato alcuno spunto che possa attrarre l’attenzione di un neofita, al quale non vedo cosa possa interessare il sapere che un noto attore sia appassionato di Jimi Hendrix, o che la prima etichetta discografica sia nata a Napoli, meno ancora l’opinione annoiata di un paroliere o quella fuori tema di un DJ. NdR | L'autore si riferisce a questo titolo.
Bisogna evitare di credere a chi afferma che l’analogico sia un fenomeno di nicchia, è una falsità assoluta. Non possiamo permettere che l’industria ci trasformi in un esercito di ebeti del pensiero rincoglioniti dall’abuso di streaming. Ascoltare dischi con gli amici è un’esperienza esaltante. Posso testimoniare che funziona anche con le ragazze…